TRAMA
Una eterogenea e stravagante comunità di persone convive felicemente e pacificamente sotto lo stesso tetto. Finché un incidente prima, e un ospite indesiderato poi, vengono a turbare il suo fragile equilibrio.
RECENSIONI
Profughi dell’anima
Tragico ma non retorico, il film mostra come gli equilibri interiori e quelli esteriori vacillano contemporaneamente, spesso travolgendo inesorabilmente le esistenze di chi ha o subisce la crisi. La presenza delle armi è immediatamente straniante, rompe violentemente gli schemi del cinema contemporaneo consegnando un fucile in mano ad un bambino. Ma nel film di Lauwers non c’è spazio ne’ per la redenzione ne’ per la critica sociale. La realtà circostante e dura e inaccettabile, ma è pur sempre la realtà. Non si discute, si vive, cercando di evitare la sofferenza. Anche con il suicidio, o l’omicidio. Certo, il campionario scelto dal regista si presta molto facilmente a dimostrare la sua tesi: un ex-giornalista probabilmente guerrigliero e appassionato di caccia, il suo avvocato sesso-eroinomane, la moglie malata terminale, la madre di quest’ultima depressa e morbosa nei confronti del genero. E inoltre, la coppia di cinesi fuggiti e ricercatissimi – attualmente impiegati nella cucina della casa – e il loro figliolo, silenzioso e problematico, l’amico poliziotto e la coppia di futuri sposi pomicioni. Ah, c’è anche un cane, ma viene fatto fuori nei primi cinque minuti del film…
La storia è una riflessione sul ruolo della morte in rapporto con quello della libertà, ed i toni sono sicuramente gravi quanto il soggetto lo richiede. Interessante è il contrasto fra la libertà di spirito della famiglia e i suoi effettivi vincoli, la sua auto-sufficienza che è anche legame. La pace in essa non è possibile se gli equilibri vengono anche solo variati, e questo è inevitabile – anche senza l’intervento esterno che porterà la degenerazione – a causa del lento deperire di un personaggio, che inevitabilmente evidenzia le idiosincrasie di tutto il gruppo.
