LILLY’S STORY

Anno Produzione2002

TRAMA

Il regime dei colonnelli ha bandito i suoi film e un regista greco emigra a Parigi per preparare un altro sulla situazione politica del suo paese.

RECENSIONI

Storia al cubo

Ancora un film sul film, ancora una pellicola autoreferenziale basata sul lavoro di costruzione di un'opera cinematografica e in cui i vari livelli si sovrappongono (la stessa lavorazione è l'argomento del film di cui si tratta e le disavventure in cui il cineasta incorre nella scrittura della sceneggiatura vanno a costituire il contrappunto della sceneggiatura stessa alla quale sta lavorando). Niente di nuovo, ma su questo scheletro le scene si susseguono in maniera interessante e, in alcuni momenti, visivamente affascinante. Ispirato alle vere vicende dell'attrice Melina Mercouri e del regista americano Jules Dassin, il film alterna toni drammatici ad altri più divertenti e surreali a volte sbracando altre convincendo di più. In generale il giochino regge pur non mancando qualche ridondanza e a tratti alcune pesantezze. Breve apparizione di Anna Galiena.

No Man’s Land?

Qu’est que c’est un film?
Un film c’est un évent.
Un film  c’est un témoignage sur son temps.

Il film di Manthoulis è un lungo racconto post-coito, che si dipana lentamente riportandoci le vicende del narratore alle prese con la produzione di un film politico e controverso, che mescolerebbe la fiction al documentario, la chimerica Melina (una famosa attrice greca) alle testimonianze crude e veritiere dei protagonisti reali. L’operazione di Manthoulis è proprio quella di raccontarci il suo film, che si sviluppa attraverso questa contrapposizione, facendo pervenire dal passato les témoignages e dal presente la fiction, incastonando la pietra al gioiello senza nasconderlo (come spesso invece succede), ma anzi lucidandolo per bene e illustrandone le caratteristiche attraverso le voci dei suoi attori. Così facendo, Manthoulis – da consumato artigiano del documentario – astutamente dribbla la solita annosa questione della realtà al cinema, e riesce ad essere candidamente fazioso all’interno della finzione scenica; tuttavia, è proprio il lato più strettamente cinematografico a tradirlo. I suoi personaggi sono genuinamente mediterranei e cosmopoliti, ma le situazioni in cui la mano del regista li tuffa – quando vuole mettere l’accento sulla loro apolide umanità – sono stanche e di maniera (come la sigaretta dopo l’amore, che c’è sempre, ma cinematograficamente non è più plausibile). Resta una riflessione intelligente e ben congeniata, un meccanismo dal funzionamento interessante anche se non perfettamente bilanciato. Un’operazione compiuta nella terra di nessuno che Manthoulis costantemente evoca, lasciando intravedere le sue ossimoriche caratteristiche di libertà e prigionia, le sue enormi potenzialità narrative e le restrizioni che inevitabilmente porta nella sua definizione.