TRAMA
Spagna, una città della costa settentrionale: le giornate sempre uguali di un gruppo di amici, ex operai in un cantiere navale.
RECENSIONI
VITELLONI involontari (o quasi), gli eroi di tutti i giorni ritratti da Fernando León de Aranoa vivono in modo precario, non solo dal punto di vista lavorativo: sospesi fra un passato di fatica e dolore (mitizzato dal ricordo) e un futuro variamente segnato da alcolici e solitudine, Santa, José e gli altri (non) si muovono con meticolosa lentezza, trascinandosi dal bar gestito dall’ex collega al traghetto che porta i pendolari al loro privato (e, dai nostri, apertamente invidiato) inferno, dalle stanze del potere (l’ufficio di collocamento, le agenzie bancarie) a quelle della disperazione, aggrappati al sogno di un mondo alla rovescia, destinati a rovesciare solo i resti delle rispettive esistenze. La forza di una burbera amicizia e la mano invisibile (e, per una volta, non del tutto nefasta) dell’ironico destino ostacoleranno (per cinque minuti) il meccanico rituale di un LUNEDì MATTINA che deride la vita (i passeggeri come numeri in una matrice) e ignora la morte. L’alienazione e la voglia di (soprav)vivere ai tempi del lavoro in disarmo: il tema è ricco di spunti interessanti, ma la variazione orchestrata dal regista e cosceneggiatore non convince fino in fondo. I dialoghi (un po’ troppo) brillanti e piacevolmente stralunati sono incrostati di muffa da palcoscenico, così come alcune prove d’attore (Bardem, con la scusa dell’ironia, si concede un ghigno perpetuo che dapprima lascia interdetti, poi tedia e basta); il repertorio di situazioni e parole-chiave deriva dai canonici film operai europei, soprattutto quelli di Loach e Guédiguian, per tacere di FULL MONTY, un’eco del quale è rintracciabile nelle tint(ur)e fantozziane attribuite al personaggio di Lino (la moglie amata e temuta, gli sconfortanti colloqui di lavoro). Purtroppo, de Aranoa non possiede la rabbia salubremente velenosa del collega inglese, né la trasparente e lacerante levità di quello francese: azzecca qualche sequenza (la serata da babysitter, aperta da un ingannevole gioco di sguardi) e offre pennellate di pregio (l’orologio riflesso nello specchio, il cui moto antiorario sembra materializzare la gelosa e regressiva depressione di José), ma il risultato, fra graziose scen(ett)e comiche ed enfatici squarci tragici, un timido accenno di documentario (il prologo) e una superflua spruzzata di musical (il karaoke), è un’opera al tempo stesso discontinua e piatta, slabbrata anche se (a tratti) piuttosto simpatica, appesantita da soluzioni (non soltanto) narrative decisamente telefonate e metafore tanto trasparenti da essere ammorbanti (un battello che si chiama Lady España).