TRAMA
Diverse storie d’amore s’intrecciano nella Londra del periodo natalizio.
RECENSIONI
Tutto quello di cui abbiamo bisogno è l'amore: sembra facile come una cover priva di rischi e d'interesse, si rivela doloroso e complicato come un puzzle a orologeria. Il debutto alla regia dello sceneggiatore di QUATTRO MATRIMONI E UN FUNERALE inizia in modo poco raccomandabile: la petulante voce over del (brutto) prologo indica in LOVE ACTUALLY la solita commedia british (sorrisi, imbarazzi e nevrosi nei dì di festa, comandati o no), tanto frammentata da potersela egregiamente (?) cavare con la solita iniezione di cliché asfittici e surgelati paesaggi della City. Ma l'esecuzione della stantia partitura riserva alcune sorprese non spiacevoli, sebbene limitate al livello della scrittura (nell'irrimediabile piattezza della regia). L'amore descritto da Richard Curtis è infelice, folle, venato di masochismo: si ama in modo inespresso e inesprimibile (una visione adorante e silenziosa, che sottotitola la passione e traveste il tutto da canzoncina tradizionale), si abdica a un amore possibile per consacrarsi a un sentimento arrugginito e (in/)colpevolmente non corrisposto, si riversa l'affetto per una morta su un soggetto simile (geneticamente parlando) che ha (ben) altre preoccupazioni, ci si ama per dovere scenico, costringendo la passione ad accontentarsi delle pause caffè e dei baci fuggenti, ci s'innamora senza accorgersene e quasi senza volerlo, nell'incapacità (per l'incapacità?) di condividere un linguaggio, si mette a rischio l'immagine (forse non solo quella...) di un Paese in nome di un flirt poi accantonato non senza imbarazzo. Peccato che tali piccoli problemi di cuore, resi tollerabili e a tratti (i siparietti delle controfigure, le domestiche di/visioni di patrigno e figliastro) gustosi da un cast azzeccato (su tutti Laura Linney, dolce call girl, e Billy Bob Thornton, presidente Usa laidamente mellifluo), confluiscano sbrigativamente in un finale edificante/unificante, appesantito da un epilogo vacuamente ri-esplicativo in cui (quasi) tutto finisce in gloria fra improvvis(at)e unioni franco/anglo/portoghesi e bellezze d'importazione. Confezione lussuosa, anonima, convenientemente natalizia.