TRAMA
Un padre non si ferma di fronte a nulla per proteggere la moglie e il figlio da una presenza misteriosa che li terrorizza.
RECENSIONI
Non aprite quella porta. Perché fuori, là fuori, il caos – come ci ricordano le volpi di Lars von Trier – regna. Con It Comes At Night, Trey Edward Shults offre una sorta di ribaltamento prospettico del suo esordio alla regia Krisha (2015). Sempre di ambiente chiuso trattasi, con l'ingresso di un elemento estraneo che scompagina i fragili equilibri vigenti. La variazione sul tema prevede una diversa ambientazione (là un presente urbano e urbanizzato, qui una casa nel bosco immersa nel nulla e in un ipotetico futuro prossimo venturo), un'opposta gestione dei toni (colori contro oscurità, confusione contro silenzio) e, soprattutto, una differente elaborazione del “diverso” che ribalta gli eventi. In Krisha siamo di fronte ad un ritorno sgradito all'interno di un nucleo familiare, un “corpo alieno” già conosciuto e rigettato; in It Comes At Night, invece, la paura è estesa a tutto, ovvero all'ignoto e al misterioso – che per definizione non rassicurano – che vanno lasciati fuori in quanto dissimili a ciò che c'è dentro. Da un punto di vista spettatoriale, il film con protagonisti Joel Edgerton e Riley Keough presenta un microcosmo già masticato altrove: gli spazi angusti, il buio che nasconde squarci inquietanti e mortiferi, l'ossessione che mina la razionalità generando mostri appartengono ad un immaginario generalmente condiviso, che rimanda – tanto per restare al cinema recente – ad esempio a The Witch (anch'esso distribuito dalla A24), 10 Cloverfield Lane (2016), The Lodge (2019, con cui condivide la presenza della sopraccitata Keough). Lo scarto avviene nell'individuazione del maligno, che non è identificato né identificabile. Il Male NON È, è “qualcosa” (It) che arriva prevalentemente di notte come una leggenda tramandata a voce; è invisibile, surreale, e terrorizza proprio in virtù della sua natura informe e amorfa. Siamo noi, annaspando nell'oscurità, a dargli una connotazione per convincerci di avere di fronte un nemico reale, un villain da sconfiggere.
Osserviamo i protagonisti indossare delle maschere antigas, percepiamo che il malessere si esprime fisicamente attraverso lividi, occhi neri e rigurgiti sanguinolenti. Tanto ci basta – nonostante la sceneggiatura non offra alcuna conferma in tal senso – per decidere che si tratti di un morbo, di un virus connesso a una qualche devastante pandemia e/o a un non chiaro evento cataclismatico. Ma in It Comes At Night i veri cattivi sono la perdita, il lutto, il dolore, la sfiducia in se stessi e nel prossimo. Per dimostrare la sua tesi, Shults costruisce un mondo di adulti archetipici (il padre severo, la madre solidale, il ragazzo affascinante, la donna sensuale) nei quali è impossibile identificarsi. Il compito, semmai, spetta al figlio adolescente Travis, che vive in una sorta di cieca fede genitoriale e le cui notti sono animate da terribili incubi in cui immagina la malattia e la morte per come gli sono state descritte. Travis offre una visione emotiva, spaesata e “vergine” che ben si attaglia al nostro stato d'animo, nonostante a noi in verità venga chiarito fin da subito quale sarà l'epilogo della storia grazie all'apparizione di Il trionfo della morte di Pieter Bruegel il Vecchio (presagio ovviamente e inevitabilmente nefasto). La porta dipinta di rosso, che separa l'interno della magione con l'esterno, si fa quindi limite psicologico e mentale prima ancora che fisico, anche perché nel corso della pellicola viene varcata diverse volte. A non poter essere superate, invece, sono la diffidenza e la paranoia, alimentate dall'isolamento e dall'alienazione. Il mostro siamo noi: ancora una volta un messaggio non particolarmente originale, che non impedisce tuttavia di riflettere in modo inaspettato su come la guerra alberghi quasi esclusivamente nelle nostre coscienze. E come l'orrore sia una semplice espressione di questi laceranti conflitti.