TRAMA
La storia di Roberto Succo: uccisi i genitori a Mestre e internato, ottiene la libertà condizionata per buona condotta. Fuggito in Francia inaugura un’allucinante serie di misfatti.
RECENSIONI
Ispirandosi a un libro inchiesta di Pascale Froment (ma la vicenda era alla base anche di un'opera teatrale di Koltès) Kahn narra senza orpelli le vicende di Roberto Succo rendendone la crudezza, con occhio quasi iperrealistico. Ricostruisce la sua storia con scandita frammentazione, immagini livide e dure, un andamento tutt'altro che lineare che non vuole spiegare pedantemente l'accaduto: questa follia non ha metodo e il film non cerca di sistematizzarla, di renderla intellegibile. Non c'è analisi in Roberto Succo e non c'è scavo psicologico, c'è la perfetta resa della superficie di una vita "fuori". Le tessere del mosaico appaiono incoerenti e sembrano disegnare forme incomprensibili, ma incomprensibile è la violenza del giovane, la lucidità nel preservare la sua latitanza pur continuando ad aggredire, a trucidare, a violentare donne, ad amare una ragazzina del liceo. La gratuità delle sue gesta - la loro totale illogicità costituisce una delle ragioni del disorientamento degli investigatori ed è piuttosto riuscito l'alternare parallelo delle scene in cui la polizia tenta una logica ricostruzione dei fatti e quelle che dicono della completa asistematicità dell'agire del giovane - impatta su un mondo a volte totalmente privo di riferimenti, che non si interroga su nulla, che accetta passivamente persino le fucilate esplose sul frequentatore di una discoteca all'uscita del locale.
E' proprio nella descrizione di certi ambienti, nelle precise notazioni a margine di situazioni e caratteri, che il film si esprime meglio. Nella ricomposizione dell'identikit di Succo (un folle, un paranoico pieno di fobie, un mentitore istintivo, un assassino freddo, uno sbruffone, un razionale) significativa, invece, la scelta di Kahn di evitare il dettaglio delle macabre uccisioni: tutto viene mostrato in un dopo che è fatto di sangue rappreso, rigor mortis, cadaveri sotto i riflettori. L'autore registra tutto con stilizzato distacco, non enfatizza i toni, mantenendosi lontano dalla spettacolarizzazione più facile, concedendosi solo alcuni intervalli, delle sequenze sospese in cui la musica tende a far emergere un preciso stato d'animo, un'incertezza, il rimpianto per la scomparsa di qualcuno che, con tutta certezza, non tornerà. Il centro del film rimane comunque l'interrogativo sulla sanguinarietà del protagonista che, pur non assurgendo certo a simbolo (e il regista stesso ci tiene a sottolineare la sua volontà di non ritrarlo come una vittima della società), costituisce comunque un enigma inquietante. Il carattere non schierato della pellicola attribuisce allo spettatore la scomoda ma sacrosanta possibilità di scegliere liberamente la posizione etica da assumere rispetto a ciò che sta vedendo.
Perfetto nel ruolo di Succo lo sconosciuto Cassetti. Isild Le Besco è una certezza (e non da oggi). Il bel tema musicale è magistralmente interpretato da Marianne Faithfull. Un film non etichettabile: di quanti possiamo dirlo oggi?
