Drammatico, Recensione

RESPIRO

TRAMA

Storia di Grazia, moglie di uno dei tanti pescatori di Lampedusa, e madre di tre figli. Donna dalla personalità bizzarra, viene male interpretata dagli abitanti del paese che vorrebbero curarla in un ospedale a Milano. Solo Pasquale, il figlio tredicenne, riesce a capire il desiderio di libertà della madre e la sua spensieratezza, cercando di proteggerla dal resto del villaggio.

RECENSIONI

Sole, roccia, mare. Sembra la ricetta della vacanza ideale, invece per Grazia la vita sull'isola di Lampedusa risulta molto problematica. Difficile adeguarsi alle regole sociali quando si e' per natura anticonformisti. Grazie e' una donna giovane e ancora bella, madre e moglie, che alterna solarita' e dolcezza a introversione e rabbia. La sua guida e' l'emotivita', vive tutto all'ennesima potenza, con conseguenti ed improvvisi sbalzi di umore. Emanuele Crialese, regista e sceneggiatore alla sua opera seconda, costruisce un bel personaggio femminile, che pare cucito addosso a Valeria Golino, interprete discontinua capace di spaziare dalle grandi produzioni hollywoodiane ai piccoli film indipendenti. Grazia e' naturalmente condradditoria e la sceneggiatura non cerca di trasformarla in un'eroina in lotta contro il bigottismo e l'arretratezza culturale del microcosmo in cui vive. Grazia, infatti, sarebbe ribelle e disubbidiente alle regole in qualsiasi epoca ed ambiente. Sicuramente in un altro contesto la sua irrazionalita' potrebbe essere etichettata come originalita' e magari (ma non e' detto) troverebbe meno barriere nella sua possibile espressione, mentre in un'isola lontana dal mondo diventa una malattia da curare, qualche cosa che mina l'equilibrio, il quieto vivere, il tacito perpetuarsi della tradizione. Sembra davvero di essere fuori dal tempo, in un'atmosfera di memoria verghiana: il ritmo delle giornate scandito dal lavoro in mare, sotto il sole cocente, o sulla terraferma, a pulire il pesce o a fuggire il caldo. La descrizione della natura e dell'ambiente in cui si muovono i personaggi diventa parte integrante del racconto, un personaggio che racchiude tutti gli altri, una sorta di primitiva ancora radicata in ognuno degli isolani. La macchina da presa osserva luoghi e volti senza giudicare, costruendo un racconto in cui le immagini e i suoni diventano pagine di sceneggiatura. Anche i dialoghi, spesso parlati in siciliano stretto, contribuiscono ad entrare nell'ambiente in cui i personaggi vivono. Gli interpreti, in maggior parte non professionisti, risultano quasi sempre spontanei senza cadere nel bozzetto da esportazione. Bravissimo il giovane Francesco Casisa, il figlio maggiore della protagonista legato alla madre da un rapporto molto forte, che esprime, attraverso gli occhi e la postura, tutto il suo disagio. La tragedia e' dietro all'angolo, ma Crialese non cede alle facili lusinghe del dramma, vuole comunicare altro rispetto alla circolarita' di un racconto. E le immagini che concludono il film colpiscono per bellezza, poesia e intensita'.

Bisognerebbe fare come le due lepri; quando cala il colpo,
cadere follemente come morti, raccogliersi e riprendere
coscienza, e, se si è ancora in grado di respirare, scappare a
tutta forza. La forza dell'angoscia e della felicità sono la
stessa cosa"

T. W. Adorno, Minima moralia

Ci sarebbe molto da dire di Respiro, o forse molto poco, limitandosi all'essenziale facendo respirare il film senza soffocarlo ulteriormente sottoponendolo al torchio delle interpretazioni dopo il boccheggiamento provocato dalla sommersione delle disavventure distributive in un paese dove il cinema come produzione autoctona riesce a respirare davvero poco (e male) e questo di Crialese rappresenta senza ombra di dubbio un caso emblematico di un film (ma di un cinema anche) che dopo un anno di apnea distributiva torna a (avere l'illusione di) respirare nelle sale.
Un film-mare anche come semplice e puro atto di filmare in cui ci troviamo già dentro il cinema, ci siamo già tuffati nel mare, nel film(-m)are, abbiamo già colto o creduto di cogliere l'invito all'immersione anche come messa in abisso della visione, come profondità (meta)cinematografica, come cinema della o delle profondità, delle superfici già profonde, nelle profondità del mare (magnum) della memoria cinematografica non sedimentabile come semplice traccia mnestica ma in qualche modo come onda fluttuante, come superficie increspata, movimento pellicolare ondivago che è già comunque (nel) cinema poiché si pone come ricordo rammemorante di infinite sequenze, scenari altri, altri co(n)testi filmici, altro cinema, altri cinemi ma anche , forse linguisticamente, pasolinianamente, altri cinémi come minime particelle fotogrammatiche in un'ipotetica operazione di scomposizione filmica, piccole bolle d'aria, d'acqua, nel mare del cinema; piccoli, lenti, faticosi, desideranti, ansiogeni respiri; un cinema di piccolo-grande respiro, impercettibile e eccedente per quei suoi, davvero, impalpabili, quasi inintercettabili movimenti di macchina, come piccoli, affannosi, straordinari movimenti respiratori. Espansioni e contrazioni ma sempre in una condizione di lenta, prolungata, subliminale respirazione.
Un altro cinema si diceva, già poiché Crialese ci immerge nel suo cinema e contemporaneamente in un altro cinema, inevitabilmente, in quella efficacissima operazione mai invasiva di mise en abyme, anche come senso di sprofondamento, in cui assistiamo all'affastellarsi di immagini che provengono da altri luoghi, da altri tempi, da altre cinematografie e da altri contesti. L'iniziale 'paesaggio con centauri' con quel cromatismo così acceso e solare ci riconduce a quel senso di auroralità mitica de I buchi neri di Corsicato, e, anzi, tutto il film tende ad assumere la direzione di una contrapposizione netta tra natura e cultura, tra mythos schilleriano dell'incontaminato e logos hegeliano del progresso tecnologico (un incipit tragoedia per dirla con Nietzsche), una messa in forma di una resistenza forte, ancestrale (Grazia come parte indissolubile di quella naturalità naturante), al passaggio da uno stato di totale astoricità alla storia come principio totalizzante di dominio razionale sulla natura. La figura di Grazia, centralissima e pur ai margini, vergine delle rocce (benchè madre) e archetipo iconografico klingeriano di ninfa coestensiva al paesaggio che abita, alla sicilianità estrema perché isolata a cui appartiene, giovane parca depositaria di un sapere della natura, degli elementi (acqua, aria, terra, fuoco), della corporeità che non ha bisogno di linguaggio verbale per comunicare (il dialetto come lingua che si onomatopeizza in quanto è già suono naturale, delle cose, dei corpi, degli elementi, un linguaggio che dunque non è cultura bensì natura).
E tuttavia Respiro è un film-mare, come si accennava, o meglio un film acqua, per la sua acquaticità, per la sua liquidità, per quel senso posto in essere di elegia del mare, dell'acqua; elemento che non cessa di ricordarci immagini di altri film-mare, straordinari, incessanti, come il meraviglioso Vicino al mare più azzurro di Boris Barnet, ma soprattutto quello che in tutta la storia e la geografia del cinema si pone come assoluto archetipo filmico marino ovverosia L'Atalante di Jean Vigo le cui sequenze immortalate e implacabilmente riproposte da Fuori orario si sono oramai felicemente e fecondamente sedimentate in quella sorta di immaginario cinematografico collettivo che dispone della nostra appartenenza al cinema. L'immagine di Dita Parlo (sulle note della pattismithiana/springsteeniana Because the night) cercata/trovata da (ma proprio per questo anche sempre sfuggita/sfuggente a) Jean Dastè richiama la felicità dei giochi nell'acqua di Valeria Golino e Vincenzo Amato ma soprattutto inaugura il finale, bellissimo, in cui si mostra tutta l'azzurrità delle profondità del mare, il suo blu, questo lavorare su un registro cromatico estremo contrappuntato dalla grevità della profondità delle note del sax di John Surman con quella scena assolutamente e volutamente visionaria della coappartenenza degli uomini di Lampedusa al mare, all'acqua come elemento originario, corpi immersi che respirano (solo in e grazie a) questo sublime senso di gioiosità acquea.