Drammatico

GUIDA PER RICONOSCERE I TUOI SANTI

Titolo OriginaleA Guide to Recognize Your Saints
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2007
Durata98'
Sceneggiatura
Fotografia
Scenografia

TRAMA

L’adolescenza del giovane Dito è stata segnata da alcuni drammatici eventi accaduti nell’estate del 1986, quando scorrazzava per le vie del quartiere di Astoria, nel Queens, a New York, insieme ai suoi amici Antonio, Giuseppe e Nerf. Anni dopo, Dito si è trasferito in California ed ha intrapreso la carriera letteraria ma una telefonata di sua madre lo richiama nei luoghi della sua giovinezza dove lo attendono diverse questioni rimaste irrisolte…

RECENSIONI

Dito Montiel debutta alla regia con un film che ripercorre la sua giovinezza e gli eventi drammatici che lo hanno portato a crescere e ad abbandonare New York per cercare fortuna in California. L'atto di dolore racchiuso nel film alterna il presente a numerosi flashback del passato. L'inizio spaventa. Si teme il classico percorso di formazione a ostacoli, con la violenza dei sobborghi, i sogni spezzati, il grigiore del presente, perdipiù con uno stile sovraeccitato in cui la macchina da presa a mano passa nervosamente da un personaggio all'altro mentre i protagonisti, urlanti, si parlano addosso in continuazione. Poi il timore diviene certezza. Ma allo spavento subentra l'ammirazione per uno stile concitato che riesce a comunicare un disagio sincero. "A guide to recognizing your Saints", fortemente voluto da Robert Downey Jr. e prodotto da Sting insieme alla moglie Trudie Styler, cresce gradualmente fino ad avvincere proprio per la forza con cui l'autore si mette a nudo sullo schermo. Il film è infatti la sua reale biografia e mostra il difficile cammino di crescita in un ambiente familiare protettivo ma fondamentalmente assente, dove i sogni finiscono inevitabilmente per scontrarsi con una realtà sociale degradata in cui ogni stimolo creativo è messo a tacere da esigenze primarie di sopravvivenza e dalla legge del più forte. Nella coinvolgente progressione narrativa non c'è spazio per la retorica, ma si fa largo un dolente sentire, esplicitato dall'estrema difficoltà di staccarsi dal guscio in cui si è cresciuti. Una culla malsana animata di buone intenzioni, in grado di proteggere ma anche colpevole di tarpare le ali, attraverso un passaggio di consegne generazionali in cui i figli sembrano destinati a compiere gli stessi errori dei padri. Il film stesso, però, vista la totale adesione dell'autore, che racconta se stesso senza mirare al proprio ombelico, è una testimonianza di come spezzare la catena sia possibile. Interpreti superlativi, sia i ragazzini che Robert Downey Jr. e, soprattutto, gli irriconoscibili Diane Wiest e Chazz Palminteri.

Forte di un cospicuo numero di riconoscimenti festivalieri (Settimana della Critica di Venezia, Gran premio speciale della giuria per tutto il cast e Migliore regia al Sundance), Guida per riconoscere i tuoi santi arriva nelle nostre sale portandosi dietro una certa curiosità: si parla di un taglio marcatamente autobiografico, di un adattamento anticonvenzionale (il regista e sceneggiatore Dito Montiel è anche autore dell’omonimo romanzo) di un approccio tumultuoso alla materia narrata. Eppure, dopo un inizio passabile (anche se un tantino venefico: la telefonata della madre perché il padre è ridotto male e il certificato di autenticità della storia proclamato dall’alter ego dell’autore sono già colpi piuttosto duri da incassare), il film precipita nella grammatica della sincerità senza uscirne mai più. “Essere reale” è la parola d’ordine, raccontare senza filtri e/o sotterfugi autoindulgenti, offrire uno spaccato di vita di ragazzi di strada alle prese con la violenza di un quotidiano senza pietà e amenità simili. Assunti che fanno accapponare la pelle. Soprattutto se questa presunta tranche de vie viene trasferita sullo schermo con il linguaggio automaticamente impiegato per “farecinéma-vérité”. Naturalmente le formule da candid camera appartengono al passato: oggi per “essere autentici” le convenzioni non sono più quelle degli anni Novanta, anni tempestati dall’estetica video. I cliché del nuovo verismo cinematografico sono chiaramente letterari: di una letteratura a sua volta imbevuta di cinema, certo, ma titolare di una propria specificità. Spappolare la cronologia del racconto pare indispensabile: paradossalmente la linearità è sinonimo di artificio. Ecco allora Montiel lavorare il tempo del discorso filmico in entrambi i sensi: all’indietro con un poderoso flashback di matrice ultraletteraria (addirittura radiofonica) e in avanti con “spallate prolettiche” che anticipano di qualche secondo gli eventi rappresentati, piccoli flashforward raggiunti poco dopo dal normale svolgimento del film.

A “fare reale” è anche un altro espediente proveniente dalla letteratura: la rarefazione. Evoluzione del classico motivo letterario della pausa descrittiva, la sospensione del flusso narrativo in contemplazione stranita di particolari che modificano la percezione delle cose – alterando i comuni rapporti tra figura/sfondo, piccolo/grande e interno/esterno – è uno dei nuovi procedimenti di autenticazione. Passiamo, come dire?, da un “candido” realismo visivo a un più pregnante e pervasivo realismo percettivo. E in A Guide To Recognizing Your Saints di momenti di rarefazione – amplificati dalle sonorità dilatate delle musiche di Jonathan Elias – ne contiamo diversi, anche se su tutti spicca quello in cui il giovane Dito, dietro suggerimento dell’amico Mike, fissa un puntino sul vetro della metropolitana, sorvolando con lo sguardo “agganciato” a questo particolare il panorama che fila via all’esterno. Il desiderio di lasciare il Queens provato dai due si coagula in questo punto di fuga, sospendendo alla lettera la progressione drammatica in rarefazione contemplativa. Infine – non perché siano esauriti gli elementi analizzabili ma per non esaurire chi sta leggendo questo inessenziale commento – la caratterizzazione dei personaggi. Anziché lasciar agire le figure sullo schermo e ricavare i tratti caratteriali dai comportamenti, il neoverismo cinematografico pennella le sue creature attraverso dialoghi sottili e “intelligenti”, cercando la sfumatura a tutti i costi e accumulando ossessivamente sottintesi psicologici. In questa ipertrofia drammaturgica, i personaggi giungono addirittura a interloquire direttamente col pubblico e confidarsi apertamente con lui, in indiscreti “a parte” dal forte sapore teatrale. È quanto succede nel film di Montiel, in cui i vari Giuseppe, Nerf, Antonio, Diane e Laurie guardano in macchina e, all’insaputa degli altri personaggi, si presentano ufficialmente e separatamente allo spettatore. Non si tratta di sfiducia nelle capacità comunicative dell’immagine o in quelle intellettive del pubblico, sia chiaro, ma dell’esigenza di variare il più possibile i timbri drammatici del testo, di toccare il maggior numero di registri stilistici, di stabilire con lo spettatore un dialogo profondo e imprevedibile. Un’esigenza che se a volte colpisce per franchezza e intimità – penso al sottostimatissimo Mean Creek o all’incompreso Shortbus – altre volte, come in questo caso, degenera irrimediabilmente in caricatura: è forse possibile definire altrimenti un personaggio che avanza spedito verso la cinepresa leccando un gelato e pronunciando provocatoriamente: “Io sono Diane e mi piace scopare”? Eppure A Guide To Recognizing Your Saints non sarebbe un film privo di meriti. Pur essendo costretto a sbraitare simultaneamente, il cast è davvero notevole: non solo gli splendidi Chazz Palminteri, Robert Downey Jr. e Rosario Dawson (quest’ultima in una folgorante apparizione), ma soprattutto la “sezione giovani”, con Shia LaBeouf (il giovane Dito) e Martin Compstone (Mike O’Shea) una spanna sopra gli altri, tutti comunque fenomenali. Convincenti anche l’ambientazione nel vero quartiere di Astoria nel Queens, sorda cassa di risonanza ai drammi che si consumano sui suoi marciapiedi, e la fotografia “mobile” di Eric Gautier (Clean,Cuori) espressione visiva di un’insicurezza esistenziale sempre sul punto di sprofondare nell’abisso dell’autodistruzione. Meriti tuttavia soffocati da una grammatica della sincerità ormai cristallizzata in schema compositivo, in equazione narrativa: Guida per riconoscere i tuoi santi è un film paradigmatico,sinceramente paradigmatico. Perfino il doppiaggio lo è.

Esordio col botto per lo scrittore Dito Montiel, che adatta l’omonimo (da noi inedito) romanzo autobiografico con un’idea precisa, seppur a tratti pretenziosa, di cinema: all’inizio s’è poco persuasi dall’ennesima rivisitazione memoriale fra street gangs newyorchesi e amicizie scomode, con il Sé protagonista che, ovviamente, possiede una marcia in più. La presenza di un grandissimo, memorabile Chazz Palminteri, infatti, non può non far venire in mente il Bronx di Robert De Niro. Infastidisce la vezzosità da “nouvelle vague” del regista, fra overlapping, dialoghi fuori sincrono rispetto alle immagini, flash con anticipazioni, scritte che replicano le lettere del romanzo, continui salti temporali e ostentato linguaggio scurrile e da perditempo. Ci si ricrede perché, piano piano, la materia levita e perché c’è una precisa volontà drammaturgica dietro a tragedie e punti di svolta che accadono sotto uno sguardo distaccato (nessun pathos o climax ricalcati): Montiel sottolinea che ciò che convince il protagonista a fuggire è secondario rispetto a quello che abbandona, fra affetti e i santi che crede demoni. Dopo la partenza scorsesiana “già vista”, quindi, approda in altri lidi, andando controcorrente rispetto a tutta una schiera di simili film giovanilistici che, da un lato, si galvanizzano con la violenza, la ribellione e la rabbia (per poi rifilare la morale) e dall’altro coinvolgono il pubblico nelle speranze di fuga dell’eroe. La morale di Montiel è molto meno facile, non ragiona con i testosteroni e con la matrice nostalgia. Ecco perché la sua pellicola è dedicata ad Antonio e perché, dopo i titoli di coda, compare un breve filmato con il (vero) padre.