TRAMA
Nam-woo e Jun-ho sono amici di infanzia e si ritrovano a Seul molti anni dopo essersi persi di vista. Nelle ore che trascorrono insieme ricordano gli anni vissuti nel piccolo paese di pescatori dove sono nati.
RECENSIONI
Poesia in pixel
Fin dalla prima bellissima sequenza, in cui seguiamo il planare di un gabbiano tra i grattacieli di Seul, il lungometraggio coreano di Sung-gang Lee si caratterizza per l’estrema abilità con cui riesce a coniugare un racconto intimo con la perizia tecnica. Per una volta nessun robot, niente distruzioni galattiche, ma la quotidianità di due ragazzini, amici inseparabili separati dalla vita. Il film racconta il difficile passaggio dall’infanzia all’adolescenza dei due protagonisti e contrappone, a un mondo reale fatto di scuola, mare, dissidi familiari e interiori, un universo fantastico in cui trovare rifugio, dove rintanarsi e incontrare qualcuno che senza parlare ci capisce e ci coccola. Lo stile visivo adottato dal regista rispecchia perfettamente il taglio del racconto, con una prevalenza di tinte pastello e un’animazione in 3D morbidamente nascosta sotto una colorazione bidimensionale. I risvolti onirici richiamano alla mente l’universo fantastico di Hayao Miyazaki e, pur nella loro bellezza, sono forse la parte meno originale del film. Più riuscite le sfumature del quotidiano, rese con una delicatezza non priva di incisività. Pervaso da un sentimento nostalgico, il lungometraggio non sfocia mai in un greve piangersi addosso dei protagonisti, che evitano i rimpianti a favore di una lucida consapevolezza. Giustamente premiato con il Gran Prix al “Festival International du Film d’Animation di Annecy”, speriamo riesca a trovare una distribuzione anche in Italia.
