Drammatico, Recensione

IL FABBRICANTE DI GATTINI

Titolo OriginaleKatzelmacher
NazioneGermania Ovest
Anno Produzione1969
Durata88’

TRAMA

Alcuni giovani nell’apatia quotidiana, con rapporti di coppia superficiali o all’insegna del maschilismo. Nel quartiere arriva un immigrato greco e iniziano i comportamenti razzistici.

RECENSIONI

È il secondo lungometraggio del prolifico Fassbinder che, nel triennio ‘69-’71, girò dodici film (!) approfittando della sintonia d’intenti con la sua compagnia teatrale Antiteater (qui adatta una sua pièce di 20’). Wim Wenders definì questo “Katzelmacher” (gergo bavarese che insulta i latini) un film horror, di “zombi” del quotidiano, in quanto angosciante quadro su di una gioventù crudele, apatica, dissociata, ipocrita, fondata su vuoto e silenzi in cui si fanno strada, come riempitivi, i pettegolezzi sterili e i sentimenti ingiustificati di odio razziale, mentre i rapporti di coppia sono all’insegna della sottomissione femminile, della violenza o del materialismo. Fassbinder, quindi, restituisce una desolante umanità mentre interpreta proprio l’immigrato greco anticipando, nel rapporto con la meravigliosa Hanna Schygulla, La Paura Mangia l’Anima. Queste sue prime opere dovevano molto al cinema di Godard, alla sua ironia e al suo estremismo formale/contenutistico: la recitazione e la composizione filmica straniata/brechtiana, il profilmico di camere spoglie, lo sfondo ricorrente (qui un “ritrovo” sul marciapiede ripreso a macchina fissa), i ritorni astratti incastonati nella (non) narrazione (qui il “passeggio” a braccetto dove i vari personaggi riflettono con, in sottofondo, un commento sonoro da film muto). Opera poco accomodante, spesso spossante nelle dilatazioni inespressive che, più che restituire la noia del quotidiano dei giovani, la generano senza che la fissità di sguardo, l’improvvisazione e la sottrazione significante fotografi il loro disagio. Fassbinder, cioè, replica il tipo di cinema del suo esordio (L’Amore è più Freddo della Morte): piccoli accadimenti senza sottolineatura alcuna che si manifestano, volutamente, nel nulla, nella freddezza generale. Per quanto sia da antologia un’immagine come quella dei due corpi nudi su sfondo bianco, stile Veronika Voss, che richiama un lenzuolo a tutto schermo, è nel cinema successivo che Fassbinder lascerà davvero il segno, quando recupererà il cinema classico per reinterpretarlo, inserendo le medesime istanze critiche ma con meno fervore da cinema-saggio. Citazione di Yaak Karsunke in incipit (“È meglio commettere nuovi errori piuttosto che confermarne di vecchi fino al punto di una generale inconsapevolezza”), bianco e nero d’obbligo, tanti spunti sarcastici.