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TRAMA
André, vessato dai suoi creditori decide di suicidarsi lanciandosi nella Senna, ma una donna ha pensato di fare lo stesso…_x000D_
RECENSIONI
Se un merito ha Besson è di sapere bene quello che fa: è chiaro come la fatuità di Angel-A non rappresenti soltanto la scelta di un registro consapevole ma costituisca anche la base dell’intero progetto artistico in campo; il regista gioca con gli estremi (e forse è per accentuarli che ha girato la pellicola il bianco e nero); narra una favoletta sulla diversità e l’(auto)accettazione chiudendola in tempo, prima che diventi (troppo) stucchevole; propone un film a basso costo, dopo la débacle di Giovanna D’Arco, basato su un’idea (una) e ambientato in una Parigi troppo ostentatamente cartolinesca per non essere frutto scenografico di una scelta volutamente ovvia (e ovviamente voluta). Angel–A è insomma un film artificiale al punto da sembrare mettere in scena il suo stesso disegno di messinscena e che in questa scoperta concezione formale, vuota di contenuto fino alla noncuranza, nuda, certo, ma solo per sottolinearne l’impudicizia, falsa (lacrime&buonismi, sorrisi&patetismi compresi) al limite della plateale presa per i fondelli, ha il suo maggiore motivo di interesse.
Il registro visivo (la fotografia è di Thierry Arbogast) è quello parossisticamente iconografico e parapubblicitario (come non pensare a una nota réclame di assicurazioni quando la riproduzione della Nike di Samotracia si ritrova, per arguto gioco di prospettive, la testa di Angela, a rivelare la natura sovrumana della donna?) di certi Leconte (Rue de plaisir, La ragazza sul ponte), la splendida Rie Rasmussen è una vice-Jovovich di altera bellezza e di talento attoriale pari al nulla stilizzato nel quale si trova a recitare. Complice l’umorismo, peraltro a corrente alternata, il film procede giulivamente da una stazione narrativa all’altra, presentando le avventure di questa strana coppia (lei alta, raffinata, bionda; lui basso, impacciato, scuro) secondo un tono stralunato e antinaturalistico che la caricatura semplicistica dei personaggi e dei caratteri di contorno non fa che accentuare.
Inconsueto in tutto, il film (e Besson) sembra tendere scientemente a un suicidio critico da consumarsi rigorosamente fuori dagli sche(r)mi. Il regista non sarà simpatico, e men che meno un genio, ma gli si riconosca il coraggio della diversità e quello di mostrare fieramente il petto di fronte all’artiglieria che non aspetta altro che il “Fuoco!”.