TRAMA
David, gangster dal cuore d’oro e dalla famiglia perfetta, raccoglie il pizzo presso la criminalità locale per conto del misterioso Wizard. L’arrivo di un rivale in affari metterà a repentaglio la sua posizione nel sistema e la sicurezza dei suoi cari.
RECENSIONI
Dopo un convincente apprendistato che lo porta a distinguersi come sceneggiatore di Training Day e il solido esordio registico Harsh Times, si può già facilmente circoscrivere la zona di comfort dell’ex-marine naturalizzato losangelino David Ayer – abitata da gang del South Central e scafati poliziotti pronti a tutto e spesso al di sopra della legge e della morale –, rimanendo senza troppi guizzi all’interno della quale egli ci consegna con sufficiente perizia una manciata di classiche reiterazioni variate (c’è anche un mockumentary) dei tropi dell’immaginario poliziesco, grondanti più testosterone che adrenalina ma tutto sommato puntuali nel garantire le due ore di intrattenimento che loro si richiede. Nel 2014 è il momento di alzare la posta con una megaproduzione che si spinge su territori non dissimili (il cameratismo di una squadra di carristi) ma finalmente nuovi (se non altro geograficamente), e Fury sembra confermare forse non un talento sorprendentemente versatile ma certo una firma di tutto rispetto e saldo mestiere nel panorama del cinema di consumo. Bastava però il coevo e imbarazzante Sabotage per intuire l’automanomissione professionale in atto, pronta ad esplodere nel felo de se estetico di Suicide Squad, criminalmente graziato da buoni incassi che hanno concesso a un vogliamo sperare contrito David Ayer di tornare parzialmente sui propri passi, alla testa dell’allora più costosa produzione originale Netflix, un’ibridazione fantasy dello scenario città degli angeli - strana coppia in volante (black&white in a black&white) - malavita e macchinazioni ai piani alti, pane quotidiano del Nostro eppure risultato brillante solo di nome (Bright).
Va da sé allora che la prosecuzione di questa rotta verso un più aperto ritorno alle origini con The Tax Collector non lasciasse poi troppo ben sperare, per quanto il sodale Shia LaBeouf (apprezzabile in Fury) ci abbia creduto così tanto da tatuarsi realmente sul petto il nome del suo personaggio (ironicamente un “Creeder” in sapore di fanatismo, che a malapena si intravede in un’unica inquadratura). E un tatuaggio di pessimo gusto sembra il titolo in corsivo pacchiano su una foto di famiglia che apre e subito marchia il film nella sua piattezza di valori e bidimensionalità di sviluppo, non giovando a un plot (pur pretestuoso – la vocazione è chiaramente l’exploitation) che sulla carta dovrebbe vertere sul conflitto profondo e tragico di un uomo che infine non riesce a conciliare carriera (ed eredità) criminale con responsabilità di pater familias timorato di Dio. Anche senza le necessità di world-building di Bright (soddisfatte in modo talmente maldestro e frettoloso che Netflix ha ritenuto di dover mettere in cantiere un secondo capitolo per far giustizia all’ambientazione) e senza pressoché alcun poliziotto, marcio o esemplare che sia, a disturbare vicende e immedesimazione nel protagonista (fino in fondo facile archetipo di inamovibile bontà), la prolissa e banale prima parte espositiva e manifestamente preparatoria è comunque lacunosa, a tratti incongrua e aggiunge poco all’equazione, già fallace in partenza vista la scarsa ispirazione e la linearità disarmante della stessa tanto attesa escalation con scontata piega revenge. Il dubbio di trovarsi davanti a un prodotto semi-amatoriale o a un direct-to-video non è mai scansato, nonostante i 30 milioni di budget: la regia è svogliata, dalle confuse coreografie delle (insufficienti) scene d’azione alla direzione degli attori, costretti in ruoli macchiettistici (non si salva nemmeno il diavolo in giacca e cravatta di LaBeouf, più raccontato che mostrato), il montaggio è discutibile, lo scivolone nello stucchevole dietro l’angolo (il ritrovamento della moglie con intarsio di flashback), ma nemmeno si raggiungono mai gli abissi a loro modo disgustosamente interessanti di Suicide Squad. Tassativamente da evadere.