TRAMA
1953: in un paesino che vive del lavoro nelle miniere di carbone, quattro fratelli restano orfani del padre che li manteneva. Si devono separare per gli impieghi trovati in località differenti.
RECENSIONI
L’opera, tratta dal diario di uno dei quattro fratelli, Sueko Yasumoto, inizia raccontando la recessione economica del 1953, con il carrello che osserva i minatori sporchi della piccola cittadina: Imamura ama entrare subito nel vivo del dramma (non mancano le scene buffe), laconico su ruoli e legami, intento a restituire anche con gli stilemi filmici l’assenza di tempo per disperarsi quando è in gioco la lotta per la sopravvivenza. Un film dall’approccio sociologico, potente nel verismo che, fra tanti (troppi?) temi sollevati, denuncia la situazione nipponica nel dopoguerra, canta la solidarietà dal basso e ritrae le famiglie smembrate dalla povertà, a rischio di diventare dispersivo: non c’è (non sarebbe Imamura) una presa di posizione ideologica o politica aprioristica e ricorda Il Vessillo Rosso di Michael Powell nel momento in cui non si schiera solo contro i “padroni”, perché la crisi è globale e andare contro i poteri della fabbrica non giova a nessuno. Fa venire in mente, anche, certi film di Ozu dediti a ritrarre l’infanzia (il piccolo fratello della dottoressa è un personaggio meraviglioso) e rivela un autore differente, meno nichilista, capace di commuovere restituendo un’umanità con fiducia nel prossimo e nel futuro, spesso ritratta in campo lungo o sorpresa in momenti di lirismo puramente cinematografico (la nuotata notturna). Si chiude come Desiderio Inappagato, con la frase “Io ce la farò”.
