Horror, Recensione

L’ACCHIAPPASOGNI

Titolo OriginaleDreamcatcher
NazioneU.S.A./ Canada
Anno Produzione2003
Genere
Durata134'
Tratto dadal romanzo omonimo di Stephen King
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Un minorato mentale, vent’anni prima, ha donato loro la facoltà di leggere il pensiero: ora devono affrontare gli alieni.

RECENSIONI

L'invasione degli ultracorpi non risparmia Kasdan, un biscione alieno (Stephen King) s’insinua fra le sue pareti rettali e mira alla materia grigia. Per la prima mezz’ora è ancora cosciente: Il grande freddo ghiaccia anche i loghi della Castle Rock Pictures (sette film tratti da King), la macchina da presa introduce i quattro amici protagonisti e li riunisce nella baita sperduta fra le conifere innevate. Ci sono mistero, pathos, magia e tensione, all’insegna della verità che strabilia e ferisce. Chiudono l’intrigante prologo la comparsa lynchiana di un essere "altro", la bizzarra allegoria di una biblioteca dei file della memoria e il flashback da Stand By Me, dove l’infanzia incontra il folletto dei desideri. L’acchiappasogni indiano, però, non trattiene l’incubo peggiore di ogni pellicola tratta dai romanzi dello scrittore (Stesso Schifo Diversa Data, ripetono i protagonisti), uso a gettare nel cesso le accattivanti premesse: L’alieno prende possesso di Kasdan che, a differenza di uno dei protagonisti, non conserva nemmeno un cantuccio di neuroni "terrestri" e imbratta il set di un imbarazzante ridicolo involontario. Dalla scena del bagno in poi, il timone di regia è nelle mani di qualcuno che si è bevuto il cervello e lo espelle dall’ano, confezionando una stronzata (così si riproducono gli extraterrestri!). Fra tensione e spazzatura non si crede ai propri occhi: peti, rutti, scene splatter, "Cose" carpenteriane e Aliene fermate con la spazzola del water, personaggi fuori controllo (la scena dello stuzzicadenti!) che parodiano se stessi mentre continuano a prendersi sul serio, dinanzi al passo incantato della paura (gli animali in fuga, La città verrà distrutta all'alba). I superstiti da infettare col fungo dell’idiozia cadono uno dopo l’altro, fra colpi bassi (al pene!), espedienti figurativi ammuffiti (il Dr. Jekill e Mr. Hyde con l’alieno deficiente e il professore che lo osserva dalla finestra) o subnormali (la telefonata con la pistola!). Freeman e Sizemore sono i Men in Black che negano la solidarietà spielberghiana agli alieni, si passano la pistola di John Wayne (stiamo scherzando, vero?) e si massacrano a vicenda, mentre ha luogo la lotta finale fra il serpente biblico, Forrest Gump e I Goonies. Kasdan e lo sceneggiatore William Goldman sono evacuati. Che qualcuno tiri l’acqua sul King che ancora galleggia.

L’indifendibile film di Kasdan vede nella propria indifendibilità la sua miglior difesa. Paurosamente sbilanciato e diseguale, Dreamcatcher inizia ben(on)e come un racconto corale e intrecciato à la Gran Canyon in chiave Mistery, prosegue come un Grande Freddo poco convinto e convincente, appalesa la propria 'king-ianità' riecheggiando Stan By Me prima e It (purtroppo) poi, infine deraglia irrimediabilmente e rovinosamente. Senza appello. In modo quasi coraggioso. Se infatti tutta la sequenza dell’alieno-anguilla-stronzo intrappolato nel water impone al film una u-turn comico-grottesca curiosa e a suo modo intrigante, da lì in poi Kasdan sembra mollare bussola e redini per lasciarsi andare a una serie di svarioni che portano Dreamcatcher alla fine dei suoi fotogrammi, senza che allo spettatore sia dato sapere se Kasdan (e il suo film) ci è o ci fa... quanto (non) va preso sul serio il personaggio di Morgan Freeman? e le citazioni di Signs? e la prevedibilità della risoluzione dell’intreccio? e che dire/pensare del tripudio di effett(acc)i più degni di M.I.B. o di Evolution che di un “normale” film di fantascienza? Uno di quei casi in cui l’(auto)ironia strisciante ma onni(?)presente mette le mani avanti e impone una benevola sospensione del giudizio.