Drammatico, Recensione

TREDICI VARIAZIONI SUL TEMA

TRAMA

Cinque piccole storie tratte dalla vita di ogni giorno legate fra loro da un denominatore comune: cos’è la felicità, e come si fa a ottenerla? Ormai vicino ai cinquant’anni, un uomo si convince che è giunto il momento di dare una svolta radicale alla propria vita. Un avvocato alle prime armi vede, di colpo, tutti i suoi progetti travolti da un unico gesto. Una donna affronta quotidianamente l’infedeltà del marito. Un uomo d’affari roso dall’invidia intende vendicarsi di un collega assai cordiale. E una domestica attende, con ottimismo, un miracolo.

RECENSIONI

Il tema e' la vita, in bilico tra le aspettative di felicita' e le vie tortuose del fato. Le tredici variazioni sono i brevi capitoli in cui e' suddiviso il film della sensibile e acuta regista Jill Sprecher, anche sceneggiatrice insieme alla sorella Karen. In mezzo, i destini incrociati di alcuni personaggi a meno di "sei gradi di separazione" l'uno dall'altro che, semplicemente, esistono. C'e' chi e' in profonda crisi, chi si aspetta ogni giorno un miracolo, chi e' rampante e determinato, chi e' logorato dall'invidia, chi riesce sempre a vedere il lato positivo delle cose. Ognuno dovra' fare i conti con le occasioni e le sfortune snocciolate dalla vita. Ad alcuni la sorte regalera' sorprese, ad altri opporra' un riso beffardo e crudele. Nonostante la profonda malinconia che si respira, a cui contribuisce anche la musica per pianoforte che sottolinea l'evolversi degli eventi, il tono non e' cupo. Sembra davvero di confrontarsi con la quotidianita' di persone che non si conoscono, ma con cui si condividono intime vibrazioni e pensieri. Grazie ad un efficace impianto narrativo (la regista dichiara di essersi ispirata a "Rapina a mano armata" di Kubrick), le dissertazioni filosofiche a cui si abbandonano i protagonisti, non diventano mai un esercizio di stile, ma arrivano con semplicita' allo spettatore. Il rischio "teorema" e' dietro l'angolo, ma i personaggi sono costruiti con quel pizzico di realistica follia in grado di renderli imprevedibili e quindi veri e comunicativi. Alcune frasi e situazioni colpiscono nel profondo e affrontano in modo diretto paure e sentimenti spesso evitati dal cinema, che predilige gli scontri forti e a tutto tondo a scapito delle mezze misure. Scopriamo cosi', come insegna la maledizione gitana che ricorre nel film, che riuscire ad avere cio' che vogliamo puo' diventare la nostra maggiore sfortuna. Perche' l'appagamento puo' essere vissuto come rassegnazione e portare ad un'insoddisfazione senza reali motivazioni. E un biglietto vincente della lotteria puo' nascondere molti piu' guai che gioie. Tutto sussurrato, senza soluzioni, al di la' della consapevolezza, vissuto dai personaggi e comunicato allo spettatore attraverso il filo rosso che, inevitabilmente, lega cio' che si vede sullo schermo con quello che la vita ci ha insegnato. Puo' sembrare poco, banale, gia' visto, ma a volte e' quasi terapeutico avere il tempo di fermarsi e pensare, senza arrivare a conclusioni per forza grevi. Anzi, senza dover necessariamente arrivare a conclusioni. Il film della Sprecher ha proprio questo pregio: racconta storie con cui potersi confrontare valorizzando, attraverso la potenza del mezzo cinematografico, i colori delle sfumature.

Quello che più disturba in questo film è l'evidente ambizione del progetto in confronto all'eseguità del risultato. La Sprecher, muovendosi malamente tra Kieslowski (soprattutto) e Altman, incrocia le esistenze dei suoi personaggi predicando pateticamente su felicità (la ricerca della), amore e fatalità. Labile è il confine tra la fortuna e la sfiga più nera, basta poco e la propria vita può cambiare e per dircelo si ricorre a discorsi rimpinzati di luoghi comuni (la legge causa - effetto: questa inevitabile; i sensi di colpa: questa jattura), mentre si sciala in presuntuosi riferimenti a fisica, matematica, logica e filosofia che si confondono in un piatto insipido, condito con pessimismo cosmico di riporto e una musichetta che satieggia con mestizia rancida. Cosa ci vuole per movimentare il tutto? Un bel po' di salti temporali avanti e indietro (ché c'è un disegno preciso dietro tutto questo incontrarsi e chiacchierare, che vi credete...). E quando ci si accorge che questo non basta? Delle belle didascalie a scandire, che impreziosiscono la confezione e fanno tanto "opera seria". A salvare il film dal ridicolo la scelta di una messinscena piuttosto misurata e un pugno di attori innegabilmente bravi. Ma, sceneggiatura alla mano, ci sarebbe solo da ridere (piangere) senza fermarsi. Produce, tra gli altri Michael Stipe il che mi ispirerebbe una facile battuta (la musica, le variazioni, il tema...) che risparmio per rispetto a un collega spietato che, lo so, se la prenderebbe a morte...