Drammatico

FACTOTUM

Titolo OriginaleFACTOTUM
NazioneU.S.A./Norvegia
Anno Produzione2005
Durata94'
Sceneggiatura
Tratto dadal romanzo
Scenografia

TRAMA

Henry Chinaski detto Hank beve, scopa con Jan, tenta di lavorare.

RECENSIONI

Dopo la folgorazione di Kitchen Stories, Bent Hamer si applica all’arte e al genio di Charles Bukowski. Lo fa con rispetto sacrale per l’autore: concedendosi licenze ridotte, ripercorrendo con tenerezza la strada dello scrittore americano, il film non rinnega mai le stimmate, già molto riconoscibili, del suo autore. La camera fissa scruta i volti, li guarda dritto negli occhi, evoca la disperazione solo per mandarla a nozze col grottesco, impugna una lente ghiaccia e disadorna per poi incendiarla con vampate di sentimento insostenibile. Una sfida di grande complessità maneggiare Bukowski nella sua prosa sferzante e caotica, senza trama alcuna, tutta protesa a disegnare il quotidiano illuminandone il volto vacuo e paradossale, tanto assurdo da suonare sarcastico. Al contrario di Storie di ordinaria follia (regia di Marco Ferreri, 1981) – su cui rimane celebre il commento dello scrittore dopo la visione: Questo film buttatelo al cesso – Hamer imbriglia a dovere la materia, impaludandosi in qualche deriva freak di troppo (la rissa tra Hank e il nano) ma restituendo così tutta l’umanità devastata dei suoi personaggi. Lo aiuta un cast sopra ogni lode: Matt Dillon ha creato un miracolo sbronzo e caracollante – occhi sempre bassi tranne in alcune scene chiave (il confronto con i genitori) -, Lili Taylor è una rovina innamorata che si dimostra superiore alla sua intera filmografia. Toccanti e genuini i disadattati di contorno, su cui svetta il sadismo luciferino di Flamand. Non accade nulla di singolare nel film di Hamer: Chinaski semplicemente vive, accompagnato dai versi fuoricampo così orgogliosamente estranei al narrato, e ricalca la sua vasta aneddotica perdente e sfilacciata. Non pretendere nulla, al di fuori di sé stesso, è il pregio più prezioso di Factotum: una storia d’amore e disperazione, dove le prove del primo rifulgono in duetti estremi e commoventi (la sequenza delle piattole è da lacrima) e i segnali della seconda scavano nell’abisso più nero (la prima separazione Hank/Jan in un divino, fluviale pianosequenza). L’ultima scena, l’ennesima birra, mantiene intatto il fragile movimento del reale, dissolvendo bruscamente Hank e il suo film, su questo polveroso viavai calando una lieve sospensione.