TRAMA
Sarah, studiosa di restauro, apre un’urna contenente un po’ di chincaglieria stregonesca che si rivela meno innocua di quanto sembrasse…
RECENSIONI
Non staremo qui a lamentarci della sceneggiatura incoerente e sfilacciata, del ritmo ora claudicante ora inesistente, della demenziale direzione degli attori, dell’ingenuità disarmante e delle quasi eroiche sfide allo strapotere del ridicolo involontario. Questi sono “marchi di fabbrica” o poco ci manca e fanno comunque parte della regola del gioco argentiano. No. La Terza Madre colpisce piuttosto per l’inedia registica, per la povertà di uno specifico filmico sciatto e trasandato che ci consegna un Dario Argento spossato al limite dell’esanime. Restando alla “trilogia delle madri”, anche Suspiria era una ridicola storia di streghe scritta male e recitata peggio, ma ci regalava un utilizzo folle delle luci (rossi-blu-verdi sparati con innaturalezza quasi espressionista), uccisioni coreografiche e fantasiose (il primo omicidio, con dettaglio sul cuore pugnalato ripreso “dall’interno” della cassa toracica) e una (in)sana voglia di giocare con l’inquadratura, di creare geometrie e simmetrie profilmiche, di “far sentire” la mdp e i suoi movimenti. Venendo anche al (più o meno) presente del Nostro, il pur non riuscito Nonhosonno denunciava comunque un Argento aggrappato alla sua vita(lità) registica, capace di confezionare sequenze tese e crudeli (l’omicidio sul treno) e virtuosisimi gratuitamente, ludicamente cinematografici (il piano sequenza “del tappeto” chiuso con la decapitazione). L’Argento de La Terza Madre è invece un Argento schiavo dell’effettaccio di Stivaletti, incapace di costruirci intorno qualcosa di propriamente filmico, dedito al clichè registico horror più insopportabilmente fossilizzato (il falso risveglio della protagonista, con improvvisa apparizione del mostro) e dunque in balia di una deriva trash pazzesca, onnivora, inarrestabile e, per certi perversi versi, irresistibile: come contenersi di fronte all’uso dilettantistico del digitale, alle streghe fintopunk o alla Nicolodi in versione Obi-Wan Kenobi ectoplasmico dispensatore di consigli? Avremmo quasi voglia di chiudere con ottimistico affetto, costatando i simpatici rimandi ai due capitoli precedenti (il flashback a fumetti che richiama il cane-lupo omicida di Suspiria e i topi assassini di Inferno), ricordando le citazioni di Bosch e lasciando aperto uno spiraglio di speranza “tecnica” legato all’efferata sequenza del museo o al long take della camminata di Asia all’interno della dimora della mater ma lo sconforto è davvero troppo. Tristemente, lacrimevolmente indifendibile.