Drammatico

IL TEMPO DEI LUPI

Titolo OriginaleLe Temps du loup
NazioneFrancia/Austria
Anno Produzione2003
Durata110'
Sceneggiatura
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Il paese è sconvolto da una calamità misteriosa: acqua, energia elettrica, carburante, manca tutto. In tempi come questi gli uomini diventano lupi.

RECENSIONI

La delusione espressa per l'ultimo Haneke ha del plebiscitario: le stroncature sono piovute a Cannes e, sulle testate italiane, seguono a questa uscita in sordina, tipica di un periodo anonimo per le sale quale quello pre-estivo. Proprio il dato generalmente apprezzato del cinema dell'autore austriaco - l'eccesso tematico, la violenza stilizzata, la sgradevolezza programmatica, l'opera come banco di prova per la resistenza dello spettatore - è oggi quello più attaccato e vilipeso, cosa che sorprende se si pensa, soprattutto, al pluripremiato predecessore; è proprio vero che la critica è mobile qual piuma al vento e che anche per il catastrofismo (di cui peraltro il cinema dell’autore è sempre stato imbevuto) si invochi un’etichetta da rispettare; conviene quindi guardare con i propri occhi e non procedere ad archiviazioni coatte (con Haneke, per quanto mi riguarda, la tentazione è stata forte) anche se è indubbio che IL TEMPO DEI LUPI sia e rimanga film incerto, non riuscendo a fare della sua durezza e intransigenza – nella rappresentazione, fin troppo chiara, del possibile sbando di una civiltà, quella occidentale, avvezza a un benessere che non vuol mettere in discussione - un punto di forza costante a livello di messinscena e di scrittura. Messe da parte le provocazioni annacquate del pessimo LA PIANISTA e battendo un terreno tutt’altro che nuovo, Haneke, eludendo - fin troppo comodamente – coordinate spaziali e temporali, sospende in attesa beckettiana i suoi protagonisti che, alternando sfoghi ferini a slanci solidaristici, si confrontano e si scontrano sul piano di una (ir)realtà degenerata e minacciosa. A metà strada tra LA VERGOGNA bergmaniana e il tv movie cult I SOPRAVVISSUTI, IL TEMPO DEI LUPI - opera che, se non è rigorosa, a un certo rigore almeno aspira - gioca bene sul campo della sospensione, avanzando attraverso tracce sparse e silenzi inesplicabili (il pedale del realismo viene spinto anche attraverso la calcolata assenza di commento musicale) che, rendendo tangibile lo smarrimento dei personaggi (la Huppert da iniziale protagonista viene poi inglobata, con magnifico sprezzo, nel gruppo dei caratteri) conferiscono suggestione a molti passaggi, pur incespicando, altre intuizioni non disprezzabili, sulla schematicità degli assunti, nella metafora ingombrante e incorrendo, l’opera, in quella tendenza, che Haneke non perde, a uno squallore confezionato e prevedibile.
Due momenti rimangono nel cuore: lo straziante piano sequenza del funerale del bambino e il colpo di coda del finale (laddove l'inizio sembra una citazione del dimenticabile FUNNY GAMES) in cui, senza dimostrazioni chiassose, Haneke ci dice di come certe circostanze portino gli uomini a dare il peggio di sé e, spiazzando lo spettatore (che pensa inevitabilmente a una nuova turpitudine), di come, di fronte alla sparutezza di uno sconcerto innocente, la bestia sappia tornare uomo e si ricordi anche quali parole suonino consolatorie.
Il treno e la speranza alla fine arriveranno (un muto piano sequenza sospensivo) ma dove e verso quale futuro condurranno non è dato sapere.