Horror, Recensione

NAMELESS

Titolo OriginaleLos sin nombre
NazioneSpagna
Anno Produzione1999
Genere
Durata102'
Sceneggiatura
Tratto da
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Una bambina viene uccisa e completamente sfigurata. Viene riconosciuta dai suoi genitori in virtù dei suoi effetti personali. Cinque anni dopo la madre riceve una telefonata: una ragazza che dice di essere sua figlia le chiede aiuto. Con l’aiuto del poliziotto che all’epoca seguì il caso la donna cerca di venire a capo del mistero.

RECENSIONI

Amenabar segna una tendenza a quanto pare: NAMELESS, film spagnolo che ha mietuto successi in tutti i festival specializzati del mondo, vincendo a Sitges, conferma una vena iberica nel mistery- horror e la visione peculiare di un genere che predilige l'atmosfera e la tensione alle facili scappatoie del gore. Cosa ha di particolare? Senz'altro la tendenza a non scadere nell'effettaccio ma piuttosto il tentativo di coniugare l'inevitabile truculenza di fondo con modulazioni intimiste. Il regista se predilige l'orrore da un lato, non rinuncia al dramma dall'altro, tentando di disegnare due figure umanamente credibili e di non farle stagnare nel mero abbozzo. I due protagonisti - la donna che ha perso una figlia e il poliziotto che dopo cinque anni la aiuta nella ricerca della stessa, accogliendo il sospetto che il cadavere rinvenuto allora, tremendamente sfigurato e privato di qualsiasi elemento di riconoscimento fisico, corpo senza identità e senza nome, era quello di un'altra bambina - sono figure diversamente angosciate e il loro travaglio interiore, inconsueta variante in un genere come quello del thrilling horror, per quanto non vada oltre una piatta rappresentazione di maniera, contribuisce al retrogusto dell'opera; muovendosi tra le situazioni morbose del primo Amenabar (TESIS), senza averne il piglio, e non avendo timore di goffi paralleli con IL SILENZIO DEGLI INNOCENTI, affidando la risoluzione dei nodi tramici alla decifrazione delle frasi sibilline di un vero e proprio genio del male incarcerato, con il quale la madre disperata va a parlare per avere indizi sulla sorte della scomparsa, Balguerò firma un'operina interessante soprattutto per alcuni aspetti - flash visionario-onirici, ambientazioni inquietanti e misteriose - ma che inciampa troppo spesso nello stereotipo e si affida a un intreccio - tratto da un romanzo di Ramsey Campbell - decisamente abborracciato . In definitiva tanto clamore, per quanto di genere, risulta giustificato? Diciamo che il film proprio perché non manca di spunti, anche visivi, interessanti ha l'indubbio merito di scavalcare il proprio schematismo con alcune trovate non banali e non scontate conducendo, impetuosamente, verso un finale di sottile perversione che non lascia delusi.

Una bambina rapita, un orribile delitto, una telefonata misteriosa, una setta che persegue il male supremo. Nel primo film di Jaume Balagueró (che arriva nelle sale con tre anni di ritardo dopo numerosi riconoscimenti in festival internazionali) ci sono tutti gli elementi per incuriosire lo spettatore e inchiodarlo alla poltrona. Eppure il risultato convince a meta'. Sono troppe le situazioni e i personaggi che non trovano adeguata motivazione, soprattutto alla luce dello scioglimento finale. In effetti il soggetto poteva regalare un retrogusto ben piu' inquietante. La regia ha il pregio di catturare l'attenzione e di mantenere alta la tensione. Primissimi piani si alternano a dettagli e rapidi flash interrompono spesso l'azione, facendo sobbalzare in piu' di un'occasione lo spettatore. Questi velocissimi intermezzi, utilizzati con efficacia, contribuiscono alla creazione di un'atmosfera malsana, ma rivelano presto la loro gratuita' non aggiungendo alcunche' alla narrazione. Discorso analogo per gli effetti sonori, scelti con cura e al momento giusto, ma un po' abusati nel forzare la partecipazione del pubblico. La sceneggiatura si perde in qualche prolissita', suggerisce strade che poi non sviluppa e si frammenta in personaggi piu' che altro riempitivi (il giornalista Chiroga, l'editore esoterico, l'adepto sfigurato) e in dialoghi poco credibili. Purtroppo si finisce con il percepire l'inquietudine di un male sotterraneo, con radici lontane, mantenendo sempre un distacco emotivo. L'unico vero disagio deriva dai volti di alcuni attori, davvero in parte nel comunicare la tragica banalita' del male. Perfetto Carlos Lasarte nel dare vita al terrificante manipolatore Santini. Il confronto tra lui e la protagonista (pur ricordando l'incontro tra Clarice Starling e Hannibal Lecter ne "Il silenzio degli innocenti") resta uno dei momenti migliori del film. Forse l'unico, insieme al finale (aperto e confuso, ma d'effetto), ad uscire dai binari di una grevita' tendente alla "maniera". Paragonato a "Tesis", fulminante esordio del conterraneo Amenabar, non ne possiede la forza disturbante.