Horror

STAY ALIVE

TRAMA

Dei ragazzotti ipodotati scoprono che giocare al misterioso videogame Stay Alive può avere esiti fatali. La colpa, pare, è imputabile alla sanguinaria Madame Bathory, ispiratrice dell’omonimo gruppo (prima thrash poi epic) metal, capitanato dal one-man-band Ace Borje “Quorthon” Forsberg (1966-2004). Poi si comincia a morire “a prescindere”, e i conti non tornano più, un po’ come nell’autoremake americano di The Ring 2… e infatti, a un certo punto, compare un piccolo esercito di Sadako/Samara dinoccolate e striscianti. Ma sto decisamente divagando.

RECENSIONI

Il film, c’è poco da dilungarsi, è indecente. Si potrebbe enumerare tutta una serie di scempi che vanno dal florilegio di cliché registici orrorifici, a una sceneggiatura scritta sotto Torazina passando per un parco attori che ci pietrifica davanti al monitor in cerca di un aggettivo. Ma sarebbe tempo perso, ché è Stay Alive nel suo insieme a suonare come un’offesa personale. Decidiamo allora di spendere due parole sul modo in cui la pellicola (s)parla di videogiochi, aspetto questo che si rivela (incidentalmente) il più interessante dell’operazione. Il che è tutto dire, perché Bell sembra far di tutto per dare in pasto il suo lavoro agli analfabeti del campo, quelli che scrivono “play-station” (col trattino) come sinonimo di “console” e prima o poi precipitano nel discorso “i giovani d’oggi” che si identificano con i loro “beniamini virtuali” e finiscono per “scambiare la vita reale con quella dei videogames”. Ebbene, questi signori troveranno in Stay Alive pane per i loro denti e si sentiranno incredibilmente adeguati, competenti e dunque autorizzati a scribacchiare le loro scemenze. Chiunque abbia, invece, una conoscenza anche superficiale ma diretta dell’argomento non potrà fare a meno di notare che quello che si vede in Stay Alive, al di là di qualche citazione da inconsapevole retrogamer (Fatal Frame – aka Project Zero -, Silent Hill), non ha niente a che vedere col mondo reale dei videogiochi: il gioco che dà il titolo al film, del quale il film mostra lunghe sequenze diventando il gioco stesso (o ad esso alternandosi, con l’utilizzo del montaggio parallelo più demenziale della storia del cinema), non ha niente di realistico ma si rivela subito insulso minestrone cucinato per sentito dire, a cominciare dalla cosmesi: la CGI da due soldi utilizzata ricorda vagamente i filmati in Full Motion Video di qualche annetto fa (diciamo fine secolo scorso) ma non certo la grafica in game contemporanea giocante. Per non parlare del “tipo” di gioco insulsamente mimato: un’avventura grafica camuffata da survival horror che diventa un po’ first person shooter un po’ action/adventure con visuale isometrica? Peccato solo per la scarsezza di elementi platform e RPG. Stupisce non poco, allora, ritrovare tra i credits del filmaccio il nome di CliffyB – alias Cliff Bleszinski – alias game designer di un certo calibro nonché lead game designer di Gears of War, forse prima, vera killer application per Xbox360*. Uno, insomma, che qualcosa dovrebbe capirne, al che ci sfuggono entità, qualità e portata della sua collaborazione/consulenza. Cercheremo di farcene una ragione.

*Diremo anche, pour parler, che Gears of War è sì un “giocone” ma non è certo opera rivoluzionaria: trattasi infatti di un normale Shooter moderatamente tattico che ha in un comparto grafico mostruoso e nell’assenza di cali di ritmo/tensione i suoi punti di forza. Le poche cose moderatamente “creative” sono copiate da altri giochi (il Berserker dall’omologa creatura cieca di Resident Evil 4, del mitico – lui sì - Shinji Mikami) o dal cinema (i Krill presi pari pari da Pitch Black).