Thriller

SPARTAN

Titolo OriginaleSpartan
NazioneU.S.A./Germania
Anno Produzione2004
Genere
Durata110'
Sceneggiatura
Fotografia
  • 40343
Scenografia
Musiche

TRAMA

Laura Newton è stata rapita. Scott e un suo collega lavorano per scoprire dove si trova. La presunta morte della ragazza, che chiuderebbe il caso, non convince i due che continuano le indagini per conto proprio.

RECENSIONI


«In un dramma, come in qualunque sogno, il fatto che qualcosa sia "vero" è irrilevante; vi badiamo solo se questo qualcosa è attinente alla missione del protagonista (la ricerca di un MacGuffin
David Mamet

Per David Mamet la scrittura cinematografica è una scienza fatta di regole precise: la storia la racconta il montaggio; conta l’obiettivo del protagonista non chi egli sia (DM - Cosa cerca l’eroe? Cos’è che gli impedisce di ottenerlo? Cosa succede se non l’ottiene?); la fine del film deve essere racchiusa nell’inizio; far comprendere al pubblico non da cosa, nello specifico, è costituito il MacGuffin ma quanto esso è rilevante nell’economia della storia. Spartan è l’ennesima, mirabile sperimentazione sul dramma operata da un artista che, ottenuto tutto il possibile dal teatro, ha eletto il cinema a primario mezzo di espressione, facendone campo privilegiato di applicazione del suo credo.
Come di consueto Mamet spoglia la progressione narrativa da qualsiasi didascalia o spiegazione: convinto che la delineazione dei caratteri, le descrizioni dei luoghi e delle circostanze debbano essere estranee al cinema, fa sì che i personaggi agiscano, non narrino (solo in questo senso, e dunque letteralmente, i suoi sono degli action movie), rendendo ciascuna scena naturalmente esplicativa delle precedenti (è dall’inizio che sappiamo che il rapimento di Laura non è uguale agli altri, ma l’autore si guarda bene dal mettere in bocca ai suoi personaggi la spiegazione di questa differenza; questo  perché, con tutta evidenza, costoro agiscono conoscendola: sarebbe dunque grottesco – e forzatamente narrativo – palesarla attraverso uno scambio di battute che, convenzionalmente, si renderebbe più o meno in questi termini: A - Dobbiamo liberare la ragazza.Sì, e occorre farlo al più presto, del resto è Laura Newton la figlia del Presidente): sapremo dunque di chi si tratta solo avvicinandoci alla fine, quando la cosa emergerà spontaneamente dall’evolversi delle vicende.


Il didascalismo corrotto di tanto cinema è completamente bandito: l’autore al lavoro per informare il pubblico dello stato delle cose si affanna sì per aiutare lo spettatore a orizzontarsi, ma di fatto gli impedisce di stupirsi (Scott/Val Kilmer: è quando si vuole essere utile che si fanno cazzate). Questa caratteristica la ritroviamo, del resto, in tutto il lavoro teatrale di Mamet che, proprio nella secchezza e laconicità, nell’intransigente riduzione dello spettatore alla condizione del protagonista, fa emergere le sue radici pinteriane.
Nello schema ghiaccio della sua sceneggiatura - il consueto meccanismo che non conosce inceppamenti - il regista introduce i temi a lui cari dell’inganno, delle sfaccettature di una realtà vista come complesso di apparenze, gli intrighi di un potere spietato, solidarietà e conflitto virili, disseminando le scene di segni (non simboli i quali, quando ci sono, sono perfettamente mimetizzati nell’azione e mai offerti sfacciatamente) e anticipazioni, lasciando a chi guarda il compito di associarli, di pari passo con l’autore.
Recitazione di rara sobrietà (DM - La recitazione è un’arte, e non richiede ordine, né intellettualismo schematico, ma immediatezza e coraggio) regia solida e totalmente asservita allo script: cinema prosciugato dall’effetto, ridotto all’osso. Spartano.

Costituendo un dittico con THE MANCHURIAN CANDIDATE di Demme (all’ombra del mostro elettorale si annidano multinazionali come un “rapporto” padre/figlia), arriva in sala l’ennesimo film schiettamente americano ma antiamericano della corrente stagione. David Mamet ha qualcosa da dire, si inchina dinanzi ad un messaggio ed insiste sino alla sua completa esposizione (C’è la terza guerra mondiale e questa stronza vuole sputtanare il padre); su questo tessuto si affanna a raddoppiare il livello interpretativo, rimestando in maniera solare nell’arte della rappresentazione (in questo senso, la scena del “regolamento dei conti” fasullo di Scott colpisce come un’agnizione: egli entra nell’abitazione con il fucile tra le braccia e da lì in poi, varcata la soglia dell’intreccio, si muove di fatto sul set del film: viene truccato, insanguinato con vernice rossa, riceve istruzioni dal “regista”. Un graffietto nel tendone da circo, da cui spiare all’interno: il cinema secondo Mamet). Aggirando ogni assonanza con le urla scomposte di Wenders (l’abbondanza sfumata rimane per terra) e la matrioska maculata di McTiernan (BASIC), SPARTAN lascia intravedere una propria personalità sotto le ceneri della maniera ma non sfugge alle consuetudini di(/e)genere (l’odioso cameratismo militare) e subito si acquieta nel sibilo delle pallottole, nella riproposizione del soldato silenzioso, nell’avvolgente abbraccio in punto di morte, nell’affresco del Sistema che tutto sovrasta.
Il protagonista si cala nel quadro irreale di Piccadilly Circus (una città qualsiasi e l’oscurità della menzogna) come occhiello ad un’opera obliqua ed inquietante: un film spudorato sulla verità ed i suoi multipli, una creatura cinetica che diventa animale politico e, nella violenta filippica di William H. Macy, si rivela fin troppo incazzato per colpire al cuore. Mamet, vate di un cinema (im)puro che scaccia ogni messaggio come bubbone pestifero, stavolta alza la voce coprendo i sussurri dell’intreccio.