
TRAMA
Nel 1921 l’Armata Rossa entra a Odessa, provocando l’esodo di tutti gli stranieri, compresa la comunità greca. I profughi arrivano in Grecia e si stabiliscono, sull’estuario di un fiume. Tra loro ci sono un ragazzo e una ragazza che si amano. Costretti a fuggire a Salonicco poiché il padre del ragazzo, vedovo, vuole sposare la ragazza, dopo varie, annose vicissitudini i due sono costretti a separarsi: il giovane parte per l’America. La donna comincia a errare insieme ai suoi due figli attraverso un paese in preda all’avanzata delle forze fasciste.
RECENSIONI
Angelopoulos mancava dal grande schermo dai tempi de L'eternità e un giorno, palma d'oro a Cannes fortemente cercata e infine ottenuta con una prova minore. La sorgente del fiume, primo capitolo di una trilogia che, partendo dal 1919, percorrerà la storia greca dello scorso secolo - si pregia di una prima parte sontuosa, in cui il regista sfoggia una vena visionaria e un limpido lirismo degni dei suoi tempi migliori (quelli de La recita o di Megalexandros). Inanellando, nel dato consueto dei lenti piani-sequenza, una serie di quadri di austera bellezza, l'autore ritrova una sobrietà di scrittura (priva di sottolineature, che procede per lievi allusioni) e una lucidità di sguardo che sembravano mancare alle sue ultime opere che indulgevano a un poeticismo (marca Tonino Guerra, qui solo consultato) e a un didascalismo che imponevano come leggibili a ogni costo le metafore disseminate nel percorso. Stavolta l'autore, supremo gestore dei tempi e degli spazi nelle lunghe sequenze prive di stacchi, guarda più alla Storia che alla (facile) filosofia e si dimostra maggiormente accorto nell'equilibrare l'eleganza inusitata del coté visivo con le urgenze della fabula e del simbolo. Nel dipanarsi delle vicende tragiche dei protagonisti - su cui si riflettono quelle storiche della Grecia - in cui l'America è ora un presagio, ora un incubo, ora una chimera (il sogno americano, alla lettera: la scena del giovane dormiente), un sinonimo di separazione e assenza, si impone la magistrale composizione visiva che talvolta abbaglia al punto da far dimenticare le incertezze; nell'ultima frazione, infatti, il film perde in armonia, si fa più rigido nell'affastellamento convulso delle tappe storiche, mentre l'incontro dei due figli della protagonista, su fronti di guerra opposti, diventa emblema altisonante della lotta fratricida.
La sorgente del fiume - solito, colossale sforzo produttivo - rimane un esempio, sempre più raro, di opera difficilmente inscatolabile (per il minutaggio, per la dilatazione dei ritmi, per la pervicace maniera), anomala tanto da diventare necessaria in un'epoca che sembra voler schiacciare come molesto qualsiasi vezzo d'autore, e in cui il regista - attingendo ai tragici, a Brecht, alla propria personale memoria - consegna all'occhio dello spettatore scene memorabili (la comunità rifugiata nel teatro di Tessalonica, la lunghissima sequenza della serata di danza sulle note di Amapola, il funerale sul fiume, il villaggio alluvionato, la suggestiva panoramica sulla 'collina delle lenzuola'), momenti di cinema di squisita fattura, come di rado è dato vedersi oggi, che da soli ne valgono abbondantemente la visione.
