
TRAMA
Yeon è sistematicamente tradita dal marito; in televisione apprende che Jang Jin, recluso nel braccio della morte, ha tentato l’ennesimo suicidio. Decide di incontrarlo.
RECENSIONI
Dopo la parabola discendente di Time, ecco la caduta. Il quattordicesimo lungometraggio di Kim Ki-Duk è una rielaborazione dei temi prediletti dell'autore: ancora una femmina fragile e maltrattata che, contro l'inutile verbosità coniugale (afferma il marito: Ti ho tradito ma ho sempre fatto il mio dovere), sceglie il silenzio; il dolore domestico trova composizione nell'ipotesi di relazione con un condannato a morte, surrogato e doppio del coniuge, ma sempre in attesa della fine. Ancora una coppia che si scanna sotto gli occhi della prole, lasciando trapelare una gamma di instabilità latenti che viene da lontano, a ribadire che la violenza sublimata colpisce più duro di quella fisica; ancora il matrimonio come tomba dell'amore, il sentimento risulta già sepolto ai titoli di testa; ancora l'ammicco al metafilm, dove l'autore sbeffeggia i suoi critici (il marito: Invece di questa roba, guarda una soap opera) e manovra di fatto la trama controllandola nelle vesti di direttore del penitenziario. E' legittimo intavolare questa analisi, ma altrettanto inutile. Soffio, che si presenta come possibile appendice della parte carceraria di Ferro 3, è basato su un'idea evanescente: ne deriva un costrutto narrativo tutto di maniera che minimizza la simbologia dell'autore, finora articolata e complessa, ma qui piuttosto banale e didascalica. La messe di suggerimenti figurativi è un'oziosa rimasticatura dei temi passati: l'angelo di creta - la sua costruzione e distruzione, in corrispondenza alle fasi della storia - , il fermaglio a forma di farfalla, la parola che inganna e il silenzio sincero, il ciclo delle stagioni (tutto declinato altrove e meglio) non ottengono l'evocazione di un'atmosfera ma puntano alla costruzione immediata di senso, riscuotendo un effetto che si esaurisce alla fine di ogni sequenza. Procedendo essenzialmente con due situazioni narrative (1. Gli incontri tra Yeon e Jang Ji - 2. Il rapporto tra la donna e il marito), il film tenta poi la virata di registro nelle parentesi musicali, affievolendo la plausibilità e suonando le corde del grottesco. Il regista coreano gira senza idee degne di nota, nemmeno in sede di scrittura: L'autunno emoziona i cuori, Sono diventata un uccello, Mi sento in un sogno confuso sono alcune frasi che ascoltiamo, nei pressi dello scult. Insomma, Soffio è l'opera di un discreto mestierante che si affanna ad imitare un noto regista coreano autore, nel recente passato, di gioielli imprescindibili come il dittico Ferro 3 e La Samaritana. Kim, dove sei?
