TRAMA
Per Shrek è arrivato il momento dell’incontro/scontro con i regali genitori della novella sposa Fiona. Ma una perfida fatina tenderà loro una trappola, spalleggiata da suo figlio, un principe azzurro inebetito, promesso sposo alla neo-orchessa.
RECENSIONI
Con un nuovo manipolo di sceneggiatori (Stillman, Stem, Weiss), uno dei quali anche regista (Andrew Adamson, già responsabile del primo episodio), il clan di Katzenberg ha imbastito questo ammiratissimo sequel, presentato lo scorso maggio a Cannes ed uscito alla spicciolata in tutto il mondo la scorsa estate. Non in Italia, dove per strategie di marketing hanno preferito farlo concorrere sotto l’albero di Natale con Gli incredibili della Pixar.
Se nel capostipite il modello di riferimento, oggetto di scanzonata parodia, era la fabula classica, con tanto di principessa rapita, castelli e draghi, nel nome di un patchwork favolistico o di un’“archifavola” in cui la memoria storica del racconto di fantasia legava indissolubilmente personaggi e situazioni mutuate da più storie e partorite da più autori (da Esopo a Perrault, da Fedro ai Grimm), ammiccando più al pubblico adulto che a quello infantile, qui sembra esserlo, almeno nella prima parte, la commedia sofisticata, involgarita al punto giusto. Cosa sarebbe successo se, in Indovina che viene a cena?, oltre a portare a casa il fidanzato di colore, la stessa figlia fosse rientrata colored? Questo è il punto di partenza attorno al quale gravita la prima mezz’ora, ricca di gag e trovate, a dire il vero non sempre di prima mano. Dietro al divertissement e all’apparente scorrettezza politica (le cui vittime sono più gli eroi senza macchia o i principi azzurri effeminati che i mostri) si cela, qui come nel primo episodio, un sincero encomio della diversità, di cui fanno le spese anche il dorato mondo di Hollywood e più in generale la “società dello spettacolo del sé incerato e plastificato” (il regno della famiglia di Fiona è modellato sulla ricca Los Angeles, sbeffeggiata a dovere). In questo senso, i due film della Dreamworks sono meno antidisneyani di quanto sia stato detto e scritto.
Con l’apparizione della fata madrina, madre del tonto “azzurro”, si rientra a pieno titolo nella/e trama/e da/della favola, sorretta dal classico equivoco e risolta in un’altrettanto classica agnizione finale.
Il ritmo si fa subito sostenuto, ma il quid che fa la differenza, il personaggio tradizionale di una delle fiabe più popolari che viene demistificato con effetti comici notevolissimi è il “gatto con gli stivali”, doppiato, nella versione originale (quella alla quale mi riferisco, non avendo visto quella doppiata), da un irresistibile Antonio Banderas: quando, a metà film, entra in scena, ruba facilmente quest’ultima sia al compassato protagonista, sia alla sua petulante e logorroica spalla (la voce del primo è quella di Mike Myers, quella del secondo di un efficace Eddie Murphy).
Il citazionismo in chiave demistificatoria, questa volta è più spostato sul versante cinematografico che su quello favolistico: dallo Squalo ai Ghostbusters n. 1 (il biscotto gigante ricorda l’omino della Michelin del film di Reitman, oltre ai vari King Kong e Godzilla), dal già citato film di Kramer al primo Mission: impossibile, fino all’ipercitato bacio sulla spiaggia tra Lancaster e la Kerr in Da qui all’eternità di Zinnemann.
La confezione è smagliante e il divertimento assicurato, merito dell’efficace doppiaggio della versione originale, alle cui voci sopra riportate vanno aggiunte quelle di Cameron Diaz/Fiona, di Julie Andrews/regina e John Clees/re, di Rupert Everett/principe azzurro, ma anche grazie ad impertinenti e geniali trovate al limite della “blasfemia”, come l’attribuzione dell’uso di biancheria intima femminile (sic!) da parte di un insospettabile Pinocchio. Tuttavia, l’entusiasmo manifestato da molta critica, anche europea, mi pare francamente spropositato, anche perché pure qui, come nella peggiore commediaccia di casa nostra, quando si è a corto d’idee si ricorre a rutti e peti, che fanno sempre sorridere, a fortiori se è un orco digitale a farli.
Il ritorno dell'orco verde targato Dreamworks non delude le aspettative e conferma la validita' di uno stile in cui la tecnica affinata non schiaccia il racconto. La vera forza del film, infatti, e' una sceneggiatura perfetta in cui tutti i personaggi godono di una caratterizzazione incisiva e dove le situazioni, di per se' non particolarmente originali, trovano idee e dettagli spassosi per cavalcare gli stereotipi e arrivare al "vissero felici e contenti" senza cedimenti. La prima parte ricalca "Indovina chi viene a cena" per poi evolversi, nella seconda, nella classica commedia degli equivoci. L'archetipo, con i suoi codici e le sue regole, resta quindi un saldo modello di riferimento a cui "Shrek 2", pero', soggiace con vivacita', ribaltando i punti di vista, giocando con i luoghi comuni e ravvivando con una contagiosa ironia gli sviluppi piu' a rischio banalita'. Ritornano tutti i personaggi del primo film, a cui se ne aggiungono due nuovi, davvero irresistibili: la scatenata Fata Madrina, madre del Principe Azzurro e decisa a maritare il figlio con la principessa Fiona, e Il Gatto con gli Stivali, punta di diamante del sequel grazie, sia alla perizia tecnica con cui i pixel vengono plasmati, sia alle fulminanti battute di dialogo di cui e' protagonista. Il film e' un invito all'accettazione delle diversita' e al diventare quello che si e' in base alle proprie naturali inclinazioni. Nulla di nuovo, certo, ma messo in scena attraverso contrasti forti, scelte decisive e non cosi' scontate e un lieto fine che miracolosamente accontenta il pubblico senza risultare stucchevole. Sicuramente meglio della ode alla famiglia della Pixar ("Gli Incredibili") e dell'ambigua necessita' di "credere" imposta da Robert Zemeckis ("Polar Express"). Soprattutto realizzato con un uso sapiente dell'anti-retorica e senza dimenticare la leggerezza. "Shrek 2", infatti, e' un divertimento continuo. Una girandola di colori e un ritmo indiavolato accompagnano gag quasi sempre riuscite, citazioni a ripetizione inserite con sorprendente fluidita', sbeffeggio delle convenzioni e utilizzo dissacratorio dei personaggi delle favole. Davvero irresistibile la rocambolesca "Mission Impossible" di un Pinocchio dai gusti particolari; cosi' come la sfilata degli invitati al palazzo reale e il gran ballo conclusivo, in cui ognuno ha il suo momento di commiato sulle note trascinanti di "Holding out for a hero" (chissa' perche' tradotta in italiano). Ma tutto il film e' uno scoppiettante susseguirsi di momenti esilaranti, in cui le risate non riducono il coinvolgimento ma lo rafforzano, raggiungendo un prezioso equilibrio capace davvero, per un'ora e mezza, di trasportare altrove con intelligenza.