Drammatico, Recensione

SESSO E FILOSOFIA

Titolo OriginaleSex and Philosophy
NazioneFrancia/Iran/Tagikistan
Anno Produzione2005
Durata105'
Sceneggiatura

TRAMA

John compie 50 anni e decide, in quel giorno speciale, di convocare nello stesso luogo le sue quattro fidanzate.

RECENSIONI

Sul cinema iraniano è notevole il rischio di improntare sempre lo stesso discorso: numerosi dispiaceri ci ha regalato in tempi recenti (due esempi: Alle cinque della sera di Samira Makhmalbaf e Piccoli ladri di Marziyeh Meshkini) a conferma, dopo la pulsante vitalità degli ultimi anni, di una clamorosa fase di luna calante. Stavolta torna il capostipite, recuperando le maldestre deleghe assegnate al parentado (la moglie, le due figlie: sono tutti registi), che a ben vedere con il suo Viaggio a Kandahar – opera infinitamente controversa ma degna di nota, l’ultima, prima dell’eclissi di una nazione (di cineasti) – aveva firmato la fine della festa. Per questo l’uscita in sala di Sesso e filosofia è doppiamente stimolante, affrancandosi nettamente dalla stantia urgenza sociale su cui spesso mangia (rectius: si ingozza) il Paese disagiato e presentando a un tempo un’opera rocciosa, complessa, teatrale e concettuale. Il film, appare evidente da subito, passa scientificamente in rassegna tutti i luoghi comuni sull’Amore (dallo sguardo al contatto, dalla rosa alla poesia), collocandosi sopra le righe per scelta, imboccando il protagonista di disquisizioni tanto improbabili, alienate e fuori luogo da costituire una provocazione per qualunque orecchio. Il titolo si fregia di una sottile ironia: non c’è sesso (al massimo uno sfioramento tra mani, metonimia del “fare l’amore”) né tantomeno filosofia, risultando la figura di John uno svicolone, mescolo consapevole delle componenti dell’uomo materiale, che come ogni dongiovanni castrato che si rispetti non perde occasione di pontificare sui massimi sistemi. Sbaglia dunque chi inquadra la sua incessante parlantina, chiave di lettura del film, come una tela bianca della sceneggiatura o addirittura l’incapacità di Makhmalbaf di pescare la novità: a scanso di equivoci, il ricalco di topoi è decisione meditata che per struttura formale, scivolando soltanto dal sesso all’amore, avvicina il film all’uterino Pornocrazia della Breillat. I personaggi decantano le loro battute, rarefanno ogni gesto, impiegano cinque minuti per accostare le labbra in un bacio. Il gioco solare su verità precostituite (geniale il brindisi tra amanti, dove il più innamorato – lo sanno tutti – mantiene il calice più in basso) si sposa con una struttura visiva semplice ma incontestabile (il rosso, il bianco, l’autunno) e con una sovrastruttura simbolica scarna e leggibile. La danza delle amanti, motivo incessante del film che tutto lo racchiude, è l’uscio che introduce ad un livello “altro” della narrazione, dove nulla va preso sul serio ed occorre soltanto accettare la natura sfuggente ed allegorica del racconto. Sesso e filosofia è quindi una parabola, come dimostra la classica convergenza inizio/fine, che poggia sul continuo e vacuo elucubrare dei suoi personaggi tirandolo al limite estremo della sopportazione (sullo scambio finale tra i due uomini che non sanno amare, giustamente, piovono luoghi comuni). Questa dialogistica piatta e insignificante, applicata al palcoscenico dell’amore (l’intera opera come la tavolata finale di Un film parlato), introduce ad una seconda lettura imprescindibile che apre squarci d’irrefrenabile ironia (il cronometro di John, attivato solo nell’atto del contatto fisico, il “Ti amo” pronunciato con noncuranza nel momento della separazione). D’altra parte, su questo filo sottile il film imbocca un sentiero tremendamente discontinuo, dove alcune sequenze (la vita della farfalla su tutte) erodono anche il secondo livello per riproporre il primo, il luogo comune torna luogo comune. Resta intatta, comunque, la sfida allo spettatore, l’orgogliosa istigazione alla fuga dalla sala per un oggetto spinoso simile a nessun altro nella produzione corrente. Dall’insistenza del film, dalla sincera strafottenza nel coltivare bellamente le proprie fissazioni emerge, infine, l’impronta inconfondibile del suo autore. Tenuta straordinaria dell’intero cast.