Drammatico, Recensione

THE CONSTANT GARDENER

Titolo OriginaleThe Constant Gardener
NazioneGran Bretagna/ Kenia/ Germania
Anno Produzione2005
Durata128’
Sceneggiatura
Tratto dadal romanzo di John Le Carré
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Kenya. Justin Quayle, funzionario dell’Alto Commissariato Britannico in Kenya e appassionato giardiniere nel tempo libero, apprende che la moglie Tessa, durante un viaggio di lavoro, è rimasta uccisa in mezzo al deserto…

RECENSIONI

"City of God" ha portato il brasiliano Fernando Meirelles alla ribalta internazionale, suscitando una netta e inconciliabile divisione tra sostenitori e detrattori. C'è chi lo accusa di sfruttare a fini puramente estetici la povertà del mondo e chi si lascia rapire dalla bellezza delle immagini che produce, uscendo dalla pericolosa questione sul senso morale della rappresentazione (attenendosi unicamente a questo punto, buona parte del cinema iraniano sarebbe da considerare immorale). Nel nuovo lungometraggio, tratto dall'omonimo romanzo di John le Carré, Meirelles prova a coniugare il cinema di genere (è pur sempre un thriller) con la denuncia sociale, mettendo in scena l'assenza di scrupoli delle multinazionali farmaceutiche che utilizzano le popolazioni africane come cavie per le nuove medicine in fase di studio. La storia è condotta con mano solida, dando ai personaggi il giusto spazio e alla vicenda adeguato mordente, e se l'impianto della sceneggiatura è tradizionale (l'indagine compiuta dal protagonista lo porterà a una nuova consapevolezza), la regia esce dai canoni per imprimere dinamica e personalità alla narrazione: camera a mano, utilizzo di filtri per l'accentuazione dei colori, desaturazione della pellicola, frammentazione delle sequenze a stretto confine con il videoclip, sonorità tribali ad effetto. La tecnica, non sempre originale ma efficace, non appare gratuita perché è al servizio del racconto, che resta comunque l'obiettivo primario di Meirelles, e le tante digressioni pseudo documentaristiche concorrono alla formazione di un punto di vista. Il risultato è un ibrido che rischia di scontentare sia chi vuole solo ritmo e azione, sia chi si aspetta un approfondimento della realtà locale (la vicenda è ambientata anche nelle favelas del Kenya), ma sarebbe limitativo, e ingiusto, ridurlo a mero esercizio di stile.

Solito (ma non solido) thriller a sfondo sociale sulla scia di THE MANCHURIAN CANDIDATE: stavolta l’indice è puntato sugli abusi delle case farmaceutiche, in cabina c’è un Meirelles in versione industriale dopo l’esplosione di CITY OF GOD. Non basta uno svolgimento di discreto mestiere per rendere la materia interessante: dalla prima scena (l’incontro tra Justin e Tessa) il film uccide la sottigliezza dichiarando il suo intento in una lunga filippica  antiamericana. Alternando indignate parole di condanna a un’indagine di pura routine, meccanica e ripetutamente banale (il solito potere che agisce nell’ombra), disegnando con matita spuntata il carattere di Tessa il cui fascino ammaliatore si può solo intuire, il film è altamente nobile ed educativo (come direbbe certa critica) oppure, più semplicemente, didattico al limite del fastidioso. Non sarà un’adeguata scena finale, che cala l’omissione sul destino del protagonista, a risollevare le sorti di una pellicola troppo spiegazionista, dimentica del cinema per parlare d’altro, non fida del discernimento del singolo spettatore; d’altronde Meirelles impugna una cinepresa piuttosto maldestra, convinto che basti una virata cromatica per suggerire il cambio di paesaggio (dagli States al Kenya) o che girare una sequenza d’azione equivalga ad agitare freneticamente il mezzo, con l’effetto di una letale emicrania. Rachel Weisz è una grazia che mieterà parecchie vittime, Ralph Fiennes meno espressivo di un armadio a muro.