Drammatico, Recensione

COMPLICITÀ E SOSPETTI

Titolo OriginaleBreaking and Entering
NazioneU.S.A./ Gran Bretagna
Anno Produzione2006
Durata120'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

La relazione tra Will e Liv attraversa una fase critica. L’uomo ha appena aperto uno studio di architettura a King’s Cross, un quartiere di Londra in via di ristrutturazione e i locali attirano una banda di ladri. Will riesce a individuare e seguire uno di essi, il giovane rifugiato Miro. Ne conosce la madre, Amira.

RECENSIONI

Alle prese con un materiale insidioso come il melodramma, Minghella dimostra, ancora una volta, la sua spericolata propensione a sondare i limiti del genere: così come Ritorno a Cold Mountain era un feuilleton strabordante ed eccessivo, kitsch con stile, omaggio accademico e non privo di ironia a una sostanziosa fetta di cinematografia classica, incompreso e mediamente sottovalutato, anche questo Complicità e sospetti (no comment sulla titolazione italiana) affonda il coltello in una torta ricca di calorie, tagliandone una fetta con la stessa clinica consapevolezza.
La vicenda intreccia elementi diversi, sviluppa a dovere tutti gli spunti e li fa incrociare in modo efficace: ne emerge un film sostanzialmente coeso ma anche cangiante (l’incontro tra Law e Binoche apre un nuovo filone narrativo che si ricollega mirabilmente al resto). Non ha paura Minghella di aggiungere ingredienti (il conflitto sociale, l’integrazione, il dramma di un popolo, il malessere borghese, la malattia, gli squilibri della coppia) ché il suo obiettivo è proprio quello di amalgamare tutto in un melenso ma sagace trattatello che indaga specularmente due ambienti, due modi di sentirsi straniero, due adolescenze problematiche - con il personaggio di Will a saltellare dall’uno all’altro -, né di calcare la mano saturando i toni (in un film del genere “Ti ho tradito” diventa, in maniera del tutto congrua e convincente, “Ho cercato l’amore fuori di qui”). Non sono dunque le sottolineature continue, la didascalia perenne a infastidire (ché rientrano perfettamente nello schema preordinato) quanto certa debolezza nel dialogo che non sempre fa onore alla solida struttura. Ricorrendo a soluzioni narrative molto varie e non di rado incrociandole (i racconti di un protagonista con voce fuori campo si sovrappongono alla visione del passato o del presente di qualcun altro – per tutti: Liv dall’analista, Amira che racconta del dramma della sua terra -), moltiplicando - senza mai perdere la misura - i personaggi secondari, Minghella gira (molto bene) un film complesso, intriso di romanticismo artefatto e di calcolato, conciliante moralismo che dice di due mondi che si scontrano a seguito di un’illecita infrazione (Miro che spacca il vetro del lucernaio e penetra nello studio per rubare: Breaking and entering suona il titolo originale) e al conseguente infrangere (non necessariamente insano) abitudini e certezze inveterate del milieu violato (l’uno e l’altro): nell’opera, dunque, i livelli narrativi si muovono parallelamente, a tratti sovrapponendosi, a tratti distaccandosi, disegnando un quadro generale sempre mobile e mutevole, mai prevedibile.Sorretto da interpreti all’altezza (Law, ormai attore feticcio del regista, non lesina sfumature al personaggio più sfaccettato e interessante, la Wright Penn è semplicemente fantastica alle prese con il ruolo più codificato, la Binoche, sublimemente improbabile nel ruolo della profuga bosniaca, adegua bene la sua bellezza ai limiti dello sfascio – lontani sono i tempi della Lancome – al carattere tormentato di Amira), il film sviluppa ogni elemento prendendosi tutto il tempo necessario, senza tirare via nulla, rimanendo sostanzialmente attaccato al dettaglio, evitando di enfatizzarlo ma non dandolo mai per scontato. Esempio fin troppo sfacciato di product placement (Apple e Vespa gli sponsor ufficiali, spudorati fino al franco fastidio), il lavoro inciampa nella coda finale (la manciata di minuti successivi al processo) non facendo altro che ribadire quanto era già narrativamente acquisito. Un peccato perdonabile, tutto sommato, a un autore che si è mantenuto incolume dopo aver passeggiato per un paio d’ore su un terreno minato.