TRAMA
Fidel Castro: rivoluzionario, leader, padre, icona. Ritratto indulgente per il tramite di un’intervista, realizzata allo scopo dichiarato di “smontare l’immagine del Comandante diffusa dalla propaganda americana”.
RECENSIONI
Lammirevole impegno di Stone a essere un regista contro si è tradotto nel corso del 2003 in due interviste filmate: luna a Yasser Arafat asserragliato nel proprio quartier generale di Ramallah (Persona non grata, presentato a Venezia); laltra, realizzata alcuni mesi prima ma solo ora in uscita nelle sale, al conducator cubano. Due figure che, al solo nominarle, producono orticaria in ogni statunitense anche solo moderatamente patriottico.
In questo caso, peraltro, lo spettatore che non sia un fan turiferario di Fidel non può nascondere la delusione: là, di fronte a un Arafat già praticamente fuori di senno, si affermava però con forza la scabra descrizione della vita da topo in trappola alla quale era costretto chi almeno nominalmente era pur sempre a capo di unautorità statale; qui appare invece eccessiva la compiacenza nei confronti di una personalità certamente eccezionale, ma altrettanto certamente assai controversa ed eccessivamente mitizzata.
Se è vero che Stone pone a Castro domande sullo statuto democratico di Cuba, sulle libertà civili dei suoi sudditi, sulla pratica della tortura (mentre non gli si possono addebitare manchevolezze sulla questione delle recenti condanne a morte, eseguite dopo la realizzazione del film), vero è pure che sembra accontentarsi delle risposte del barbuto governante. E se ciò talvolta può bastare, perché la faccia e le parole dellillustre interrogato sono più che eloquenti (ad esempio quando gli si chiede della persecuzione degli omosessuali, e lui impassibile non risponde parlando daltro), quasi mai è soddisfacente, per la totale assenza di un controcanto critico (quale ad esempio la voce di Amnesty International o quella degli oppositori) che neppure viene affidato, se non frammentariamente, allocchio del regista.
Certo, la camera di Stone è fascinata e impietosa al tempo stesso quando mette in primissimo piano i tic, la gestualità ripetitiva e solenne, le espressioni ispirate o concentrate dellanziano leader. Ma è stranamente inerte quando esce in perlustrazione nella Cuba di oggi: un po di cartoline turistiche, un po di populismo a buon mercato, qualche bagnetto di folla.
La differenza con laltro film-intervista è netta, perché là non solo si udivano le voci di Peres, Barak, Netanyahu e dei guerriglieri di Hamas, ma veniva anche fatto avvertire con isterica energia il senso di drammatica precarietà, di incertezza radicale che attraversa lesistenza di israeliani e palestinesi. Qui la passione del regista è intatta ma la sua lucidità critica appannata, e ne emerge una sorta di sbilenco monumento celebrativo, non abbastanza roccioso per essere unopera di contro-propaganda, e troppo restìo a recepire le contraddizioni della storia e del personaggio per fungere da documentario storico-politico di qualche consistenza.
Stone si lascia poi sfuggire loccasione per allargare lo sguardo, di fronte allincarnazione dellultima utopia politica rimasta in vita in Occidente dopo il 1989, a una riflessione dinsieme sulle forme politiche della contemporaneità e sui rapporti di queste con il potere economico e con le dinamiche sociali e comunicative (secondo la strada tracciata da Colin Crouch in Postdemocrazia), sicché pure la sequenza che ci mostra il Papa in visita a Cuba resta un omaggio superficiale e sterile. Ben altro esito avrebbe potuto attingere il regista se ci avesse fatto ascoltare quanto detto da Wojtyla in due dei quattro discorsi tenuti sullisola: un fermo attacco alla dittatura castrista e la denuncia appassionata che non è nel capitalismo la risposta ai problemi di giustizia sociale.
Un vecchio malato e tremante, ministro di un culto primitivo e superstizioso; un autocrate che trae la propria forza simbolica soprattutto nella resistenza che oppone allottuso, ignobile (Gordimer) embargo imposto al suo paese dal prepotente vicino esportatore di civiltà. Il fatto che a queste due figure sia stata abbandonata, dallimmaginario collettivo, la coscienza critica dellOccidente, è di per sé un motivo di disperazione.
Precedente a PERSONA NON GRATA (2003) imperniato su Yasser Arafat, arriva nelle nostre sale lincontro filmato tra il regista newyorchese ed il Lìder màximo della rivoluzione cubana. Sin dallinizio, dopo una rotativa dal repertorio storico dellisola, lobiettivo scivola sul volto del patriarca: questa la forza del documentario, spesso trascinante come la mimica di Castro, che affonda le radici in ogni singola ruga, la barba incolta più sale che pepe, le mani venose che si intrecciano, il gusto puro dellespressione. COMANDANTE, paradossalmente, non è opera politica: ponendo la regola che Fidel possa interrompere la registrazione in ogni momento (ma infine non se ne avvarrà), Stone si fa segugio dassalto per avanzare domande scomode, rinvangando lesperienza di Ernesto Guevara e la turbolenta storia delle relazioni con gli Stati Uniti. Il microfono, mai invadente, è in mano allinquadratura. Al bando ogni inquinante pregiudizio ideologico (in ogni senso possibile), la figura ombrosa di Castro un leone orgoglioso sul viale del tramonto si staglia perentoriamente centrale; carne e sangue (la camminata nel suo studio), anima (il determinato ateismo) e cuore (la prole, gli omissis sentimentali), è un documentario mai declamatorio né dottrinale, che si limita a filmare la realtà e la parola del suo oggetto, intagliandolo nel contrasto con i fotogrammi di un Fidel giovane rivoluzionario.
Il compito, delicato ed appassionante, di codificarne la sottile ironia ( Qui a Cuba anche le prostitute sono laureate), i pesanti silenzi (prostitute, omosessuali, torture, elezioni) e la giustificazione più intima (Che cosè una dittatura?) è tutto dello spettatore. In controtendenza sullabituale filmografia Oliver Stone, imbracciando il terreno della non fiction, sa filmare sottovoce con impensabili grazia e rigore. Prima da ricercare con cura (qualche sala che lo proietti sarebbe chiedere troppo), dopo perfino da non perdere.