Documentario

COMANDANTE (2003)

Titolo OriginaleComandante
NazioneU.S.A./ Spagna
Anno Produzione2003
Durata99'

TRAMA

Fidel Castro: rivoluzionario, leader, padre, icona. Ritratto indulgente per il tramite di un’intervista, realizzata allo scopo dichiarato di “smontare l’immagine del Comandante diffusa dalla propaganda americana”.

RECENSIONI

L’ammirevole impegno di Stone a essere un regista “contro” si è tradotto nel corso del 2003 in due interviste filmate: l’una a Yasser Arafat asserragliato nel proprio quartier generale di Ramallah (Persona non grata, presentato a Venezia); l’altra, realizzata alcuni mesi prima ma solo ora in uscita nelle sale, al conducator cubano. Due figure che, al solo nominarle, producono orticaria in ogni statunitense anche solo moderatamente patriottico.
In questo caso, peraltro, lo spettatore che non sia un fan turiferario di Fidel non può nascondere la delusione: là, di fronte a un Arafat già praticamente fuori di senno, si affermava però con forza la scabra descrizione della vita da topo in trappola alla quale era costretto chi almeno nominalmente era pur sempre a capo di un’autorità statale; qui appare invece eccessiva la compiacenza nei confronti di una personalità certamente eccezionale, ma altrettanto certamente assai controversa ed eccessivamente mitizzata.
Se è vero che Stone pone a Castro domande sullo statuto democratico di Cuba, sulle libertà civili dei suoi sudditi, sulla pratica della tortura (mentre non gli si possono addebitare manchevolezze sulla questione delle recenti condanne a morte, eseguite dopo la realizzazione del film), vero è pure che sembra accontentarsi delle risposte del barbuto governante. E se ciò talvolta può bastare, perché la faccia e le parole dell’illustre interrogato sono più che eloquenti (ad esempio quando gli si chiede della persecuzione degli omosessuali, e lui impassibile non risponde parlando d’altro), quasi mai è soddisfacente, per la totale assenza di un controcanto critico (quale ad esempio la voce di Amnesty International o quella degli oppositori) che neppure viene affidato, se non frammentariamente, all’occhio del regista.
Certo, la camera di Stone è fascinata e impietosa al tempo stesso quando mette in primissimo piano i tic, la gestualità ripetitiva e solenne, le espressioni ispirate o concentrate dell’anziano leader. Ma è stranamente inerte quando esce in perlustrazione nella Cuba di oggi: un po’ di cartoline turistiche, un po’ di populismo a buon mercato, qualche bagnetto di folla.
La differenza con l’altro film-intervista è netta, perché là non solo si udivano le voci di Peres, Barak, Netanyahu e dei guerriglieri di Hamas, ma veniva anche fatto avvertire – con isterica energia – il senso di drammatica precarietà, di incertezza radicale che attraversa l’esistenza di israeliani e palestinesi. Qui la passione del regista è intatta ma la sua lucidità critica appannata, e ne emerge una sorta di sbilenco monumento celebrativo, non abbastanza roccioso per essere un’opera di contro-propaganda, e troppo restìo a recepire le contraddizioni della storia e del personaggio per fungere da documentario storico-politico di qualche consistenza.
Stone si lascia poi sfuggire l’occasione per allargare lo sguardo, di fronte all’incarnazione dell’ultima utopia politica rimasta in vita in Occidente dopo il 1989, a una riflessione d’insieme sulle forme politiche della contemporaneità e sui rapporti di queste con il potere economico e con le dinamiche sociali e comunicative (secondo la strada tracciata da Colin Crouch in Postdemocrazia), sicché pure la sequenza che ci mostra il Papa in visita a Cuba resta un omaggio superficiale e sterile. Ben altro esito avrebbe potuto attingere il regista se ci avesse fatto ascoltare quanto detto da Wojtyla in due dei quattro discorsi tenuti sull’isola: un fermo attacco alla dittatura castrista e la denuncia appassionata che non è nel capitalismo la risposta ai problemi di giustizia sociale.
Un vecchio malato e tremante, ministro di un culto primitivo e superstizioso; un autocrate che trae la propria forza simbolica soprattutto nella resistenza che oppone all’ottuso, “ignobile” (Gordimer) embargo imposto al suo paese dal prepotente vicino esportatore di civiltà. Il fatto che a queste due figure sia stata abbandonata, dall’immaginario collettivo, la coscienza critica dell’Occidente, è di per sé un motivo di disperazione.

Precedente a PERSONA NON GRATA (2003) imperniato su Yasser Arafat, arriva nelle nostre sale l’incontro filmato tra il regista newyorchese ed il Lìder màximo della rivoluzione cubana. Sin dall’inizio, dopo una rotativa dal repertorio storico dell’isola, l’obiettivo scivola sul volto del patriarca: questa la forza del documentario, spesso trascinante come la mimica di Castro, che affonda le radici in ogni singola ruga, la barba incolta più sale che pepe, le mani venose che si intrecciano, il gusto puro dell’espressione. COMANDANTE, paradossalmente, non è opera politica: ponendo la regola che Fidel possa interrompere la registrazione in ogni momento (ma infine non se ne avvarrà), Stone si fa segugio d’assalto per avanzare domande scomode, rinvangando l’esperienza di Ernesto Guevara e la turbolenta storia delle relazioni con gli Stati Uniti. Il microfono, mai invadente, è in mano all’inquadratura. Al bando ogni inquinante pregiudizio ideologico (in ogni senso possibile), la figura ombrosa di Castro – un leone orgoglioso sul viale del tramonto – si staglia perentoriamente centrale; carne e sangue (la camminata nel suo studio), anima (il determinato ateismo) e cuore (la prole, gli omissis sentimentali), è un documentario mai declamatorio né dottrinale, che si limita a filmare la realtà e la parola del suo oggetto, intagliandolo nel contrasto con i fotogrammi di un Fidel giovane rivoluzionario.
Il compito, delicato ed appassionante, di codificarne la sottile ironia ( Qui a Cuba anche le prostitute sono laureate), i pesanti silenzi (prostitute, omosessuali, torture, elezioni) e la giustificazione più intima (Che cos’è una dittatura?) è tutto dello spettatore. In controtendenza sull’abituale filmografia Oliver Stone, imbracciando il terreno della non fiction, sa filmare sottovoce con impensabili grazia e rigore. Prima da ricercare con cura (qualche sala che lo proietti sarebbe chiedere troppo), dopo perfino da non perdere.