Drammatico, Recensione

CAMMINANDO SULL’ACQUA

Titolo OriginaleWalk on Water
NazioneIsraele
Anno Produzione2004
Durata104'
Sceneggiatura
Musiche

TRAMA

Sulle tracce di un gerarca nazista, un agente dei servizi segreti israeliani si finge guida turistica per avvicinare un giovane tedesco, nipote del ricercato.

RECENSIONI

Olocausto e kamikaze, ricordi dolorosi e rabbiosa incomunicabilità, (ri)sentimenti e ripensamenti, eterosessuali insicuri e omosessuali fiduciosi, razzismo più o meno trasparente e grandi speranze da coltivare con cura: in CAMMINANDO SULL’ACQUA c’è (di) tutto, tranne il cinema. Eytan Fox, già autore di YOSSI & JAGGER [dopo questa visione non sento il bisogno di colmare la lacuna (se mai l’ho sentito)], confeziona un florilegio di sciatte cartoline (nella prima parte da Israele, nella seconda dalla Germania) malamente incollate le une alle altre da dialoghi semplicemente allucinanti (non è da escludere che il doppiaggio, che comme d’habitude spazza via ogni differenza tra ebraico, tedesco e inglese, giochi un ruolo determinante in tal senso). I personaggi si vorrebbero universali e sono, dai protagonisti ai comprimari, maldestri stereotipi alle prese con goffissime metafore (i guai oculistici di Eyal, specchio dell’incapacità di esprimere le emozioni; la passeggiata del titolo, invito alla riscoperta della pace, interiore e non), solo sporadicamente coinvolti in immagini dotate di un minimo di fascino (Eyal e Axel in riva al mare, sagome nere contro un fondale chiaro: la medesima configurazione torna nel momento in cui Eyal e Pia sono fermi di fronte al Muro del Pianto, la rima cromatica essendo la sola scusa passabile, seppur insufficiente, dell’affrettato finale matrimoniale). Macchina a mano effetto maremoto, trovate da clip squattrinato (l’incubo con bambino in lacrime e suicida in négligé) e ammiccamenti che neanche Ozpetek nei suoi momenti più fiacchi (la doccia, le chiacchiere al bar), umorismo dozzinale (e non un cenno d’ironia), una petulante colonna musicale a base di pop (anche d’altri tempi). Più che un melting pot, un’accozzaglia del peggio di vari generi (buddy movie, spy story, docudrama): stile zero, profondità idem, cast potenzialmente interessante dissennatamente sprecato. Un’opera da festival (Berlino e Toronto 2004), ma di quelle orrende.