Drammatico

BELLE TOUJOURS

Titolo OriginaleBelle Toujours
NazioneFrancia/Portogallo
Anno Produzione2006
Genere
  • 66434
Durata70'
Sceneggiatura
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Husson e Séverine, protagonisti di Bella di giorno di Luis Buñuel, si incontrano trentotto anni dopo.

RECENSIONI


La solitudine polare di Parigi notturna, dal foyer dell’opera alle volute dei suoi vicoli, è marchiata da segnali di chiusura e dismissione (porte, lampioni, semafori) dove si muove un pagliaccio triste di nome Husson. Belle Toujours, la quinta stagione di Manoel De Oliveira, è un miracolo a rischio fraintendimento: più che sequel apocrifo dell’originale - in generale, il confronto Buñuel/De Oliveira racconta di un legame perenne (la commedia umana dell’inganno, la scoperta teatralità, i toni assurdi e il fulmine surreale sono alcuni contatti, cfr. Espelho Magico) - un film sul mistero della vita e dello schermo, insolubili entrambi, che vanno rispettati come tali alla stregua di un diamante da non intaccare col fiato. L’opera cammina con passo lento e provocatorio, calandosi nelle maglie del contemporaneo in un tortuoso groviglio di specchi (la parrucca in vetrina), facendo di Séverine e Husson simboli prima che personaggi e guardando in silenzio la loro rincorsa, un continuo perdersi e trovarsi che lascia emergere chiaramente il dato fatale. 
Il cineasta, alla maniera del capolavoro Ritorno a casa, rende il dialogo scheletrico e focalizza sui rumori di fondo (nella cena silenziosa, la danza delle forchette è la conferma ennesima di una maestria insuperata), gettando a scandaglio sull’animo umano la solita spietata ironia, con la profondità del banale (le lunghe riprese al bar) e insieme una portata metaforica sviluppata su dati simbolici. Risulta solare l’omaggio al prototipo (la scatola orientale¹, il gallo) ma il film va da un’altra parte, seminando il gusto amaro del passato, il rimorso di guardarsi indietro - la meravigliosa sequenza del cameriere che porta le candele fuori tempo - e la beffa della terza età, in attesa della morte. Non manca su tutto il soffio soprannaturale (le stesse che si spengono) a collocare i protagonisti in un limbo più grande della vita, che abbandona ormai lo spunto buñueliano per farsi evidente riflessione sul mezzo (la risposta di Husson, vero colpo di scena del film). Cast sopra ogni elogio: Piccoli rifà se stesso e si conferma attore totale, perfino allo specchio, il dolore rappreso di Bulle Ogier regge il confronto con l’originale - la Deneuve ha rifiutato la parte -, Trepa e Baldaque completano con grazia l’entourage del regista. De Oliveira, qui e ora, polverizza l’equivoco dell’anziano maestro da riverire: è più vivo che mai, diverso da tutti ma non uguale a se stesso, laddove la sua proposta peculiare figura oggi tra le migliori sulla piazza e impartisce una commovente lezione di stile. Michel Piccoli si avvicina a Ricardo Trepa e afferma: Sono qui per raccontarle una storia che non è mai accaduta. Ovvero, il cinema.

Sono passati 39 anni da quando la borghese Severine, facendosi chiamare Bella di giorno, si concedeva nei postriboli parigini sublimando l’amore per il marito nel piacere masochistico di tradirlo con sconosciuti. Il suo mentore, e unico detentore del suo segreto, Husson, la incontra casualmente a un concerto. C’è molta curiosità nel ritrovare i due protagonisti del celeberrimo film di Luis Buñuel, dopo tanto tempo e con tanta vita alle spalle. Il maestro portoghese Manoel de Oliveira, fedele alla sua visione essenziale di cinema, li fa incontrare con il consueto garbo. La riluttanza iniziale di Severine si scioglie davanti alla possibilità di trovare risposta a un pesante interrogativo, dopo quasi otto lustri ancora irrisolto: Husson ha rivelato a suo marito la verità? Durante una cena in tempo reale, trascorsa tra silenzi e imbarazzi, proprio quando la conversazione è in procinto di decollare de Oliveira conclude bruscamente, lasciando che il mistero resti tale. Pur nella piacevolezza dell’insieme il film è soprattutto un omaggio all’opera di Buñuel, un piccolo scherzo, e non aggiunge granchè al lungometraggio da cui trae origine. Chissà, forse anche i personaggi avrebbero preferito continuare a immaginare un incontro piuttosto che sciuparlo nell’inconsistenza e nella spiegazione razionale di ciò che hanno visceralmente vissuto. Ciò che in Buñuel era chiaro ma inespresso, con de Oliveira viene infatti lucidamente esplicitato. Resta l’interrogativo se fosse necessario. Più che forzato, poi, l’inserimento di alcuni simboli buñueliani, come il gallo e la scatola dal contenuto misterioso. Catherine Denevue, al contrario di Michel Piccoli, ha saggiamente declinato l’invito alla replica, sostituita dall’altrettanto gelida, ma meno fascinosa, Bulle Ogier.