Fantastico, Recensione, Supereroi

BATMAN BEGINS

TRAMA

L’infanzia del milionario Bruce Wayne, traumatizzata dai pipistrelli e dall’uccisione dei genitori, segna il suo destino come Batman.

RECENSIONI

Si ricomincia da zero: Nolan spazza via il gotico di Tim Burton e il kitsch di Joel Schumacher, registi dei precedenti quattro episodi. Punta sul dramma umano e la veridicità, riflettendo l'assenza di superpoteri del suo eroe in set, gadget, armi e acrobazie in cui tutto ciò che si vede è reale o verosimile. La sua sceneggiatura (in collaborazione con David S.-Blade-Goyer) seduce nei dialoghi, sparge tasselli di un mosaico che si ricompone in modo circolare, elargisce curiosità sulle origini del protagonista e, soprattutto, fa leva su di un tema che racchiude tutte le sue parti: la messinscena della Paura. E' insolito trovarsi di fronte ad un blockbuster che non ostenta gli effetti ma gli attori speciali, che rinuncia al digitale ed ai modellini (strepitosa la bat-mobile), che cerca il corpo a corpo (peccato che Nolan non sappia filmare le figure in azione: montaggio e geometrie caotiche), i lividi e una fotografia bluastra che, mentre raffredda i propri impeti kolossali, li esalta come la rabbia implosa di Wayne. E' appassionante, supereroe o meno che sia, il travaglio di un uomo che vuole dominare le proprie paure, roso dalla collera, con due voci nella coscienza (il maggiordomo Alfred per evitargli d'essere divorato dalla Maschera e la compagna d'infanzia per inseguire la Giustizia e non la Vendetta). Ma il tocco autorale sta nel fil rouge: Batman diventa Paura per vincere la Paura. L'Uomo Pipistrello si fa attraversare da orde di suoi simili: introita i propri limiti a forza di volontà. Poi li vomita diventando un simbolo attraverso la messinscena: splendida ed emblematica la scena in cui il cavaliere oscuro in volo spaventa gli Allucinati dell'Isola. Allievo che supera il Maestro a parte, il nemico più temibile è un suo equivalente: lo Spaventapasseri che droga gli avversari. Lo scontro è fra la paura indotta da assuefazione (un Batman...di soli effetti speciali) e la paura prodotta dalla rappresentazione (il Batman di Nolan): per la prima esiste un antidoto, per la seconda no. Vince il cinema.

Come già l'Uomo Ragno, anche Batman si scrolla di dosso i BANG! e i POW! del fumetto per calarsi in un'atmosfera quotidiana, dove il realismo è la nota dominante. Del resto, dopo il gotico dei primi due episodi diretti da Tim Burton e il delirio psichedelico della doppietta firmata Joel Schumacher, una variante era assolutamente necessaria, pena il probabile abbandono da parte del pubblico. E il nuovo taglio, abbinato ad un riuscito approfondimento delle psicologie, nelle mani di Christopher Nolan diventa una brillante rivisitazione del più umano dei supereroi. Soprattutto la prima parte scorre compatta e coinvolgente, grazie a una sceneggiatura strutturata che riesce a calibrare le tante micro-storie, donando a ogni personaggio il giusto rilievo e costruendo con mordente le premesse per la trasformazione del miliardario Bruce Wayne nel notturno paladino della giustizia in abito da pipistrello. Con la tanto attesa entrata in scena di Batman, però, l'amalgama perde consistenza. Un po' perché la costruzione del mito è sempre più interessante del mito stesso, ma anche perché Nolan è abile nel motivare il protagonista, nel metterne a nudo la vulnerabilità, nel dare significato alla sua determinazione, ma molto meno nel farlo agire. E nella seconda parte non possono mancare, dato il genere e il budget dell'operazione, numerose scene di azione. Ma le dinamiche restano spesso oscure a causa del buio onnipresente, dei rapidi movimenti di macchina e del montaggio frenetico, che regala più confusione che ritmo. La sequenza della fuga in bat-mobile, ad esempio (forse anche a causa della bruttezza dell'auto), è inutilmente roboante e caotica e pare non avere mai fine. Per fortuna il sontuoso impianto scenografico riesce a mantenere alto il tasso di spettacolarità e il lato umano, sorretto da un cast stellare che pur senza strafare è ben utilizzato, regge (e sorregge) fino alla fine.

Batman ritorna sullo schermo, questa volta per raccontarci le origini delle motivazioni, dei superpoteri e della maschera del supereroe creato da Bob Crane nel 1939. Il giovane Bruce Wayne cade in un pozzo infestato dai pipistrelli, assiste alla morte dei suoi genitori e all’impotenza della legge, si ritira in Tibet per studiare arti marziali, e infine ritorna a Gotham City deciso a mettere al servizio della giustizia il suo duro addestramento e le sue immense risorse tecnologiche.
Il film di Christopher Nolan si inserisce nella moda hollywoodiana delle trasposizioni dai fumetti di questi ultimi anni che sfruttano le potenzialità delle tecnologie digitali per realizzare sullo schermo i fantastici universi dei supereroi della carta stampata. L’operazione di Nolan è ambiziosa sia perché la franchise di Batman conta ormai quattro predecessori, di cui almeno due illustri (gli episodi firmati Tim Burton), sia perché si tratta di una super-produzione che vorrebbe rilanciare la serie e bissare il successo dello “Spider-man” di Sam Raimi. Ecco spiegata la scelta di affidare la regia ad un autore del calibro di Nolan che si era già messo in luce per lo sperimentale “Memento” (candidato all’oscar), e aveva dimostrato di sapere trasportare in “salsa hollywoodiana” i capolavori altrui (“Insomnia”).
Se dal punto di vista tecnico “Batman Begins” si pone ai vertici del filone (la fotografia e la computer grafica fanno il loro lavoro), dal punto di vista artistico si sente invece la mancanza di un’impronta e di uno stile più incisivo. La regia di Nolan infatti si limita a mettere in scena le splendide location e i famosi personaggi del fumetto, senza lasciare emergere dalle immagini la cifra distintiva dell’autore. È invece riuscita alla perfezione la fusione-contrapposizione tra l’anima ipertecnologica e immateriale del cavaliere nero e il corpo fatiscente e in disfacimento dell’organismo metropolitano (non a caso la minaccia criminale ha la forma del contagio e si propaga attraverso i fluidi). Da questo punto di vista il film funziona meglio nella seconda parte ambientata nella città, piuttosto che nel lungo prologo esotico (in stile Bond’s movie). Il vero protagonista è infatti l’ambiente metropolitano. La città situa in un imprecisato futuro e decora attraverso il retroadattamento il mondo di riferimento (il disfunzionamento del sistema idraulico è una figura cara anche a Lawrence G. Paul designer di “Blade Runner”), ma soprattutto definisce il protagonista come persona, come ruolo e come performance. Il gigantismo delle architetture e il loro decadimento strutturale sono perfettamente funzionali nell’isolare e sottolineare l’eccezionalità delle apparizioni dell’eroe. Questa piattaforma definisce il nuovo Batman nei termini di un anti-corpo caratterizzato dall’anti-gravità delle performance atletiche e dalla pervasività del raggio della sua azione. La tecnologia per Nolan è un bozzolo da cui può scatenarsi un essere migliore, superiore, ma anche un terrore capace di brillare nell’oscurità più cupa. La maschera del cavaliere nero è allo stesso tempo uno studio sulle forme desideranti del futuro, caratterizzate da verosimiglianza e simulazione, e una rappresentazione di forme terribili pervase dalla contaminazione e perversione con il male. Nolan mette in scena le azioni del supereroe attraverso un’estetica che ricorda li film dell’orrore. Il nuovo Batman si mimetizza nell’ombra, convive con gli animali notturni, piomba dall’alto come un rapace e trascina la sua preda nell’oscurità (lo stile degli scontri rende omaggio più all’iconografia di “Alien” che a quella di “Spider-man”). È dunque un Batman che si insedia nella città di Gotham come un corpo estraneo, prodotto dallo stesso male che vuole combattere. Anche la figura del rogo finale purificatore, è usata da Nolan contro il suo stesso eroe per sottolineare la mostruosità della creatura. In definitiva il giovane regista aggiorna i toni gotico-romantici del Batman di Burton a quelli dell’horror e della fantascienza dark che vanno tanto di moda oggi (“Underworld”, “Van Helsing”).
Per quanto riguarda le novità tematiche di questo Batman è da segnalare la nuova prospettiva scelta per raccontare l’eroe. In questo caso, il dualismo non gioca più solo a livello individuale Bruce o Batman (come nei precedenti episodi), ma è la maschera stessa a vivere una scissione che sposta l’attenzione dall’uomo all’eroe, e situa il mito in bilico costante fra tragedia e commedia, punizione e perdono. La scelta di un attore atletico e fisicamente versatile come Christian Bale dimostra che a Nolan non interessa più la contrapposizione culturale tra l’uomo di massa e l’individuo superiore (il capitalista ha ormai inglobato il superuomo), quanto il dualismo tra il possesso della tecnologia e l’etica del suo utilizzo. La maschera diventa solo un motivo figurativo con il quale affrontare il problema del (super)potere e della sua amministrazione nella società contemporanea. Non è un caso che Bruce venga addestrato in estremo oriente, da fanatici religiosi che covano un desiderio di vendetta contro una metropoli occidentale, e neppure che Wayne, e prima di lui suo padre, sia a capo di una società che domina attraverso la produzione di tecnologie di distruzione la città-stato di Gotham City. In tutto ciò, quello che si perde è l’aspetto umano del personaggio, che a parte la parentesi iniziale non è adeguatamente sviluppato nel corso del film (anche la storia d’amore con la protagonista femminile è alquanto sacrificata). Emerge un film diseguale nel risultato, troppo dispersivo a livello di trama e molto affascinante sotto il punto di vista dei motivi figurativi e della rielaborazione culturale del personaggio. I punti di forza rimangono esclusivamente gli effetti speciali, le scenografie e la massiccia dose di azione che di certo non deluderanno i patiti.

Dopo l’innegabile esordio cult di MEMENTO ed INSOMNIA, godibile opera minore, Nolan si avvia dunque alla prostiuzione delle majors? Non proprio: raccogliendo il feticcio burtoniano, ormai stuprato dalla meschina deriva alimentare di Joel Schumacher, egli ne estrae un dramma psicologico cucinato a dovere per il botteghino internazionale. Non che questo sia intrinsecamente un difetto: i batmaniani della prima ora, come il sottoscritto, non nascondono la sottile goduria nel ritrovare il nostro sulla scena, in quel di Gotham, alle prese con canagliame di varia risma. Se la pellicola inizia con la sua parte più zoppicante, un apprendistato d’eroe piuttosto killbilliano ed anonimamente sfocato, quando si spalancano le porte della dark city la temperatura sale: metropoli violenta e corrotta, strapotere di un boss mafioso, una fanciulla pronta ad innamorarsi etc. etc. Niente di nuovo, vero: ma l’autore, dinanzi a questo marasma, riesce incredibilmente a mantenere frammenti della propria personalità. L’alterazione, che pare essere tema portante dei suoi lavori (con relativa ossessione monomaniacale: la memoria, l’insonnia), si concentra qui sulla sensazione: come il giovane Wayne temeva i pipistrelli, così si trasforma nella sua paura per intimidire il prossimo, mentre anche i suoi avversari cavalcano il terrore per subdoli obiettivi. Da sempre Batman non è eroe solare ma schivo e combattuto, mica uno Spider Man qualunque: questa problematicità interiore, che faceva assomigliare l’eroe agli psicopatici cui si oppone, era pietra angolare del dittico burtoniano ma qui lascia soltanto tracce sparute (la battuta dello Wayne mondano, a proposito di un pazzo che veste da pipistrello). Se il volto psicanalitico rimane incompiuto, se il tutto strizza l’occhio talvolta all’action rurale (lo scontro finale, il bacio), se il comprimario mentale (Cillian Murphy) è decisamente migliore di quello puramente fisico (Liam Neeson), BATMAN BEGINS non si limita d’altronde a ripiegare sul floscio schematismo di genere: alcuni squarci di città impazzita (lo Spaventapasseri come cavaliere dell’apocalisse) risvegliano moderatamente quell’immaginario oscuro cui è legata la Leggenda. Batman (re)inizia, presto imparerà a volare.
Il link finale al primo film della serie, zuccherino per appassionati, è lo stesso facile espediente che impegava Ratner in RED DRAGON per lusingare i fan del dr. Lecter. Cast irreprensibile, dove ognuno occupa ordinatamente il proprio ruolo, rischiarato dall’usuale stoffa cristallina di un Caine ormai prossimo alla santificazione.