TRAMA
Roma. Claudio ha 15 anni. Qualcuno sta scrivendo “J’ador” sulla sua fronte perché puzza come una femminuccia. È Lauro, 18 anni, leader di un gruppo di ragazzi che si dichiarano fascisti e fanno un sacco di cose per un partito di estrema destra. Claudio vuole andare con loro alla “cena”, ma solo chi fa parte del gruppo può partecipare, e non le femminucce come lui.
RECENSIONI
Il branco. Una questione di odori simili, di movimenti all’unisono, di aggressione sensoriale condivisa, di chimica coordinata. Di virilità, di altezza testosteronica. Quella che deve dimostrare un quindicenne, Claudio (che ha i contorni netti e scavati, la scorza dolce del giovanissimo Segaluscio, esordiente in Sole di Carlo Sironi: da quel bel film si porta dietro l’impermeabilità ferita, una specie di dura, splendente fragilità). Il gran giudice è Lauro (sarà un caso l’omonimia ironica con il liquido menefreghista Achille?), re leone di un gruppo di ragazzetti ubriachi di una quotidiana ferocia, annegati in una luce allucinogena, d’abbaglio ipersaturo, antinaturalistica, come prelevata da un negativo violento, sotto acidi, o da un sogno allucinato, dilatato eppur breve, uno schiocco di dita. Tanto ci vuole perché l’ebbrezza del branco, una dimensione olfattiva e tattile, inebri e penetri Claudio, che profuma di femmina e invece deve puzzare di uomo, di maschio. Di Lauro. Immagine attrattiva e pericolosamente vicina più a un assolato oggetto del desiderio che a un desiderato riflesso, un totem sporco, strafottente. 16 minuti di flash epidermici, di crudeli messe in scene imposte al più debole nella catena per amor d’inconfessata integrazione fisica, per legge bestiale che cela una fusione emotiva, di corpi da riscrivere per sfuggirne le pulsioni.
Meritato premio della critica come miglior corto alla Settimana della critica 2020 (Sic@Sic).