TRAMA
Di fronte alla macchina da presa di Errol Morris, Robert McNamara, ex Segretario della Difesa USA, ripercorre la sua carriera politica, dalla Seconda Guerra Mondiale al conflitto in Vietnam, passando per la crisi missilistica con Cuba.
RECENSIONI
Morris continua a contaminare la forma documentario e ad usare in essa elementi della fiction. In FOG OF WAR non sono stabiliti confini netti: laddove finisce il reperto comincia la ricostruzione e la reinterpretazione figurativa. Il film dimostra in ciò una compattezza disarmante, legato com'è dal racconto in prima persona di McNamara, vera eminenza grigia dell'estabilishment statunitense in una delle fasi storiche più delicate del secolo passato, quella della guerra fredda prima e del conflitto vietnamita poi. Invenzioni visive e filmati storici al servizio di undici discutibili lezioni di politica e diplomazia in cui si intrecciano strategiche ammissioni di colpa e il collaudato armamentario di un astuto politicante (esemplare il passaggio di un'intervista di repertorio in cui lo statista, esponendo al giornalista il modo in cui riusciva sempre a cavarsela nei confronti televisivi afferma "Non rispondo mai alla domanda che mi viene fatta, ma sempre a quella che vorrei mi fosse stata posta") e che batte soprattutto sul concetto dell'indefinibilità di un comportamento moralmente corretto in tempo di guerra (Lezione 9 : Per fare del bene puoi fare del male). Morris alterna la biografia e il fiume di parole (e di lacrime) del protagonista con rappresentazioni semplici ed efficacissime (i pezzi di domino che cadono uno dopo l'altro: l'"effetto" di una partita tra i Grandi che ha il mondo come tavolo da gioco) e rimane quasi sempre da parte, sollecitando di rado chiarimenti e spiegazioni.
La guerra, dice un antico detto, crea una nebbia che, rendendo impossibile una chiara visione dei fatti, esonererebbe dal giudicare con severità le scelte fatte e gli avvenimenti ad esse connessi; in questa densa cortina McNamara, se da un lato dimostra come talvolta non basti la razionalità a fronteggiare gli eventi - ché l'Imponderabile fa capolino sempre e comunque (la ragione non ci salverà) -, dall'altro sembra cercare la strada di un'assoluzione e una giustificazione anche a crimini, eccidi e alle opzioni errate di una politica estera troppo spesso scellerata. Morris da parte sua è intelligente nel lasciare il campo al racconto sentito e partecipe dell'uomo, ed è perfetto nell'utlizzo del contrappunto musicale, affidato all'intensa colonna sonora firmata da Philip Glass che torna a collaborare col regista dopo lo straordinario score di THE THIN BLUE LINE.
