TRAMA
Le interazioni tra un controllore del traffico e gli automobilisti che vogliono entrare in una zona di Teheran che necessita di permessi.
RECENSIONI
Il miglior cinema di Kiarostami parte da idee semplici per indagare l’elemento umano negli individui reali. In questo caso si pone accanto ad un controllore dei permessi nell’afflusso di macchine verso il centro cittadino chiuso. Memore di un passato in cui anch’egli fece il poliziotto, monta tantissimi volti e scambi verbali con gli automobilisti di passaggio ma il protagonista, cui riserva tutto il suo calore da cineasta truffautiano, è questo tutore dell’ordine, flessibile e disponibile, attento alle ragioni di ognuno, probabilmente anomalo e poco professionale agli occhi di noi occidentali. Quella che va in passerella è un’umanità in cui è indistinguibile la verità dalla menzogna (tema costante in Kiarostami): c’è chi presenta esigenze reali e chi, probabilmente, mente per passare senza permesso (“Non posso camminare”, “Devo andare all’ospedale o dal medico”: il dubbio sorge spontaneo perché sono scuse reiterate fino alla noia). Nella discrezionalità del controllore, l’errore è dietro l’angolo: manderà a piedi, infatti, una madre con bambino ferito sul serio. Il controllore si erge a giudice, segue anche i propri umori ma, nell’incertezza, lascia passare. In questo modo viene vanificata l’ordinanza cittadina ma a Kiarostami interessa poco, se non per fare un poco d’ironia a partire dal titolo (il cittadino, per gran parte, se ne frega delle regole e tenta sempre di essere un’eccezione). Al regista interessa il contatto umano, la fiducia dispensata, fino al montaggio veloce finale in cui inserisce una musica elettronica a rimarcare il caos del traffico, sommerso da clacson.
