TRAMA
Remake live-action dell’omonimo classico Disney, nonché adattamento della leggenda cinese La Ballata di Hua Mulan, narra di una ragazza che, per salvare la vita del padre, si finge uomo e parte per il fronte.
RECENSIONI
Concepire un Disney movie ha da sempre comportato vantaggi e limiti, di dimensioni proporzionali al crescere della scala dello stesso. In gergo si chiamano four-quadrant movies, film per tutti, oggi nell’accezione di film per tutta la famiglia, dove interi generi cinematografici non trovano una loro collocazione (thriller, horror, drammi particolarmente forti etc...) e per i quali la Disney stessa negli anni ottanta creò un’ etichetta apposita, la Touchstone Pictures, destinata a contenuti più maturi e spesso scomodi, oggi scomparsa a favore del rafforzamento di brand più conosciuti quali Pixar, Marvel, Lucas Film. Nonostante il giovane pubblico sempre più smaliziato abbia permesso di sconfinare anche nel PG-13 (si pensi alle spruzzate horror dei Pirati dei Caraibi) è l’acquisto della 20th Century Fox - diventata orfana di quel “Fox” tanto amato, sostituito dal più blando e generico Studios - che ha recuperato quel business perduto, meno lucrativo ma pur sempre rilevante, fondamentale per il pubblico casalingo dedito allo streaming, per il quale Disney+, spazio forse troppo angusto, verrà inglobato in una nuova piattaforma, Star, onnicomprensiva di tutti i marchi facenti capo all’Impero del Topo. In questo contesto, un remake live-action dell’amatissimo classico animato Mulan rappresenta una sfida senza precedenti in grado di offrire inedite opportunità: estendersi e radicarsi nel sempre più redditizio mercato cinese con un prodotto pensato per esso ma dall’appeal internazionale ed espandere i limiti del tipico Disney movie, diventato, di fatto, quasi un genere a sé stante. La produzione non ha badato a spese, coinvolgendo un cast stellare completamente asiatico, molti conosciuti dal pubblico occidentale, considerando inizialmente per la regia Ang Lee e Jiang Wen. Alla fine, sull’aderenza etnica e culturale ha prevalso la scelta di uno sguardo femminile, quello della regista neozelandese Niki Caro (La ragazza delle Balene, La Signora dello Zoo di Varsavia), che ha ridefinito e plasmato la storia - la cui struttura poco si discosta da quella del film animato - in modo estremamente personale, prediligendo alla spettacolarità dei rinomati wuxiapian - genere tutto asiatico, qui omaggiato ma mai abbracciato - un approccio più intimo e misurato, permettendo anche di sfumare e ammorbidire i tratti di quello che è a tutti gli effetti un war movie, genere poco amato in casa Disney.
Per compiacere e rispettare gli spettatori cinesi, importanti cambiamenti alla storia sono stati apportati, quali l’eliminazione dell’esilarante draghetto Mushu, da loro odiatissimo perché considerato offensivo alla loro cultura, sostituito da una possente fenice, altro animale fantastico la cui statua, assieme al drago, affianca tradizionalmente l’imperatore sul suo trono. Stessa sorte è toccata a tutte le canzoni, che ritornano soltanto in forma strumentale, mentre le gag sono ridotte al minimo, discostandosi totalmente dal film d’animazione originale, una classica commedia musicale in puro stile Disney. Nonostante gli sforzi, il film ha fortemente deluso le aspettative in Cina, vittima di un pesante boicottaggio a causa di alcune inesattezze storiche, di un tweet in cui l’attrice Liu Yifei, meravigliosa interprete di Mulan, sostiene la polizia di Hong Kong durante le rivolte del 2019, e dei ringraziamenti della Disney alle autorità cinesi dello Xinjiang, regione che ha ospitato una parte (minima) delle riprese - il grosso è stato girato in Nuova Zelanda - ma rea di accogliere i campi di rieducazione dei musulmani Uyghur. Come se non bastasse, la terribile pandemia mondiale ha ritardato l’uscita cinematografica, fino a farla saltare in tutti i paesi in cui è disponibile Disney+, piattaforma su cui il film è approdato con un costo superiore ai venti euro, oltre a quello dell’abbonamento, cifra tutto sommato accettabile se si considera che non si tratta di un affitto di pochi giorni, come per molti VOD, ma di un vero acquisto sfruttabile da tutta la famiglia. Per i più pazienti il film sarebbe stato disponibile gratuitamente, sempre su Disney+, dopo soli tre mesi. I primi dati, non confermati ufficialmente, sono incoraggianti a tal punto che si pensa a un possibile cambiamento nei tradizionali accordi distributivi, nonostante la Disney abbia sin da subito specificato che si tratta di un evento isolato.
In un’epoca in cui spesso si scambia l'opinionismo per critica cinematografica, o si decide di stroncare un film prima ancora della sua effettiva visione, o ancora ce lo si fa piacere a priori perché così si è deciso (e viceversa) in base, spesso, all’accettazione o meno di odierne mode di mercato, la visione di un delicato e rischioso compromesso (con i dovuti limiti del caso) di tutto pregio come Mulan necessita di una messa in prospettiva che ne vincola il suo apprezzamento. I primi minuti mostrano una certa difficoltà nel distaccarsi dal film a(ni)mato, a causa della mancanza di personaggi e scene particolarmente care al cuore, riproposte in chiave diversa ma con la stessa funzione, tanto da far pensare a un meccanico upgrade (o downgrade a seconda). Ma più il film avanza e più si comprende come le ovvie concessioni dettate dalle regole di mercato siano intelligentemente sfruttate per osare qualcosa di nuovo, su tutti il ritratto sincero di una Mulan completamente diversa, non più ingenua ragazza che si scontra con un mondo lontano da quello che il suo sesso le impone, ma di un già esperto guerriero, dotato di un forte chi, che deve smettere di nascondersi e affermarsi al mondo nella pienezza del suo potenziale. Fondamentale a tal proposito il primo scontro, quasi fatale, con la strega-guerriera Xianniang (una Gong Li in splendida forma): Hua Jun, nome maschile scelto da Mulan per fingersi soldato, muore e con lui la menzogna, mentre Hua Mulan sopravvive in una metaforica resurrezione (non a caso è una fenice l’animale guida inviato dai suoi antenati che solo lei sembra vedere), e si sveste dell’armatura e delle sue paure mentre cavalca, capelli lunghi, simbolo della sua femminilità, sciolti al vento, verso quel battaglione che ha portato alla vittoria. Xianniang, personaggio inedito creato appositamente per il film, è un altro esempio di donna forte e potente, troppo, per questo additata come strega da una società che non le riconosce alcun posto, una sorta di paria, versione alternativa e disillusa di Mulan, nella quale si rivede tanto da cercarne l’alleanza per distruggere un ordine sbilanciato e ricrearne un altro, più equo, piuttosto che modificare il mondo dall’interno, cambiandone le persone, cosa che Mulan fa salvando la vita dell’Imperatore che le riconosce le virtù e le doti a cui un tempo solo un uomo poteva aspirare.
Simpatico e funzionale quanto basta, il plotone eterogeneo dei soldati, fratelli d’arme di Mulan, aggiunge un minimo di comic relief , necessario, dopotutto, a causa del target, ma sempre controllatissimo, mentre evanescente e poco incisivo rimane il villain Bori Khan, a capo dell’orda dei guerrieri Rouran decisi a conquistare la Cina. Molto azzeccata e ricca di spunti è la scelta di dividere il personaggio del generale Li Shang della versione animata tra il soldato semplice Chen Honghui, pari di Mulan, rivale, camerata e spasimante, e il più anziano comandante Tung, ex compagno d’arme del padre di Mulan e quasi suo complementare, tant’è che, dinanzi alla maestria del soldato Hua Jun, arriva a offrirgli in sposa sua figlia. Mancano sfortunatamente alcune scene iconiche, che il manuale del perfetto remake non avrebbe mai cancellato, ma qui non più collocabili, quali il bellissimo discorso padre-figlia all’ombra del ciliegio - fuori luogo e ingiustificato perché in questa versione Mulan non è una creatura che tarda a sbocciare, ma una donna che non deve più nascondere le proprie abilità - e il taglio dei capelli, considerato, forse, come una sorta di negazione di quella femminilità qui tanto rivendicata e inneggiata. Di contro almeno un paio di nuovi momenti sono assolutamente di nota, quali, il bagno nel lago, suggestivo e accorto, e la già citata “risurrezione”. Incerte invece sono le battaglie, divise tra spettacolari coreografie e una timida censura, dovuta o a inesperienza registica o, più probabilmente, al compromesso di cui sopra, giustificato furbescamente dall’evidente volontà di omaggiare soltanto il genere wuxiapian, attenuare gli orrori della guerra e di concentrare l’attenzione altrove. In sostanza Mulan si pone, sin dalla sua concezione, come un ibrido tanto rischioso quanto ambizioso, un film che osa, cercando di essere molte cose (per alcuni forse troppe), tanto calcolato quanto sincero, sul quale il dare un giudizio e una lettura è fortemente influenzato da fattori culturali e mediatici, oltre che dalle proprie prese di posizione e gusti; un’operazione vinta o persa a seconda della prospettiva in cui ci si pone, ma della quale è importante valutare lucidamente entrambe i lati della medaglia.
