TRAMA
Il diciassettenne Euronymous è determinato a sfuggire all’educazione tradizionale nella Oslo degli anni Ottanta. Ossessionato dal voler creare la vera musica norvegese black metal con la sua band Mayhem, crea un fenomeno utilizzando performance scioccanti che attirano grande attenzione. Ma appena i confini tra sogno e realtà iniziano a confondersi, cominciano incendi dolosi, violenza e un omicidio che scuoteranno profondamente la nazione.
RECENSIONI
“Sono stato portato in questo mondo per creare sofferenza, caos e morte”.
Euronymous si presenta così all’inizio di Lords of Chaos, pochi istanti prima di raccomandarsi con un amico di non vomitare nell’auto del padre. Bastano pochi minuti per capire che quello di Jonas Åkerlund non sarà, come sperato da molti, un film manifesto sulla nascita del black metal ma qualcosa di diverso. È la storia di un gruppo di teenagers travolti dalla loro passione per la musica estrema e la trasgressione, incapaci, complici il successo e l’attenzione morbosa dei media, di tracciare un confine tra il loro gioco di ruolo e la realtà. Quella che è la storia maledetta per eccellenza dell’universo Metal viene raccontata da Åkerlund con ironia e un pizzico di cattiveria, mostrando le contraddizioni e le psicosi dei protagonisti, senza però negare loro il merito di aver creato qualcosa che ha cambiato la storia della musica underground.
Jonas Åkerlund (che ha militato come batterista nei Bathory, band svedese che in parte influenzò la nascita del black metal in Norvegia) dà un taglio particolare al film, spaziando dal videoclip ad una sorta di dark/teen comedy in salsa slasher piena di sangue e violenza. È una scelta che funziona alla perfezione nella prima parte del film, quella più scanzonata e divertente, nella quale si racconta la nascita dei Mayhem e il crescente successo della band e della scena che si creò intorno ad essa. Le feste, la birra, il sesso, il caos, il fuoco, la musica: Åkerlund spara tutto a volume altissimo e fa valere la sua esperienza di autore di videoclip per costruire un divertente e sgangherato circo metallaro. È in questi momenti che traspare tutto l’amore dell’autore per la materia trattata, con un’attenzione per i dettagli (dai costumi alle scenografie) al limite del maniacale. Qualche problema nasce quando entra in scena Varg Vikernes, personaggio tanto complesso quanto di rottura per la storia.
A quel punto il film può permettersi meno divagazioni e si concentra su quelli che, carte alla mano, dovrebbero essere i fatti: la crescente rivalità tra Aarseth e Varg, la conseguente spaccatura tra i due, le chiese che bruciano, il triste epilogo. Qui Lords of Chaos perde un po’ di freschezza e di impatto, mentre cresce in parallelo il desiderio di Åkerlund di mettere all’angolo Varg e di “santificare” Euronymous. È un approccio alla vicenda che segue a suo modo la linea tracciata dal libro da cui è, falsamente, tratto il film (Lords of Chaos: La storia insanguinata del metal satanico di Michael Moynihan e Didrik Søderlind, più un saggio di antropologia sociologica che un racconto dettagliato degli eventi), una scelta netta in una vicenda molto controversa che è stata dibattuta a più non posso nel corso degli anni. Euronymous era un personaggio molto sfaccettato ed era conosciuto nell’ambiente per essere persona tutt’altro che piacevole. Nel film la sua figura è ripulita per questioni narrative (la love story col personaggio interpretato da Sky Ferreira, ad esempio, è frutto di fantasia) e per rendere ancora più sconvolgente la sequenza finale del suo omicidio, nel quale il cinismo di Varg (trasformato ormai in una sorta di pupazzo fuori di testa) tocca il massimo livello. D’altra parte Åkerlund lo ammette chiaramente ad inizio film con una didascalia ("based on truth, lies and what actually happened") che ciò che vedremo oscilla tra fiction e realtà. È chiaro però che uno degli obiettivi principali di Åkerlund è quello di sparare su Vikernes e il regista lo fa con non poca ironia. Emblematica è la sequenza dell’intervista a casa di Varg, unico momento del film nel quale Åkerlund inserisce uno sguardo esterno (quello del giornalista), facendo emergere in pochi minuti tutto l’aspetto grottesco e tristemente comico della vicenda. Il solo fatto di aver fatto interpretare il personaggio di Varg, dichiaratamente neonazista e nazionalista, ad Emory Cohen, un ebreo americano, fa già capire la provocazione verso Burzum (a proposito di casting: ad interpretare Attila Csihar, attuale cantante dei Mayhem, è il figlio).
In realtà non è poi così importante ai fini del giudizio sul film stabilire se ciò che racconta Åkerlund sia più vicino alla verità o alle lies accennate nell’intro: ciò che è veramente interessante (e che ha fatto infuriare buona parte del pubblico metal) è il modo nel quale l’autore dipinge la nascente scena black e i suoi mostri sacri. Se pensiamo a personaggi come Burzum, i Mayhem, gli Emperor, i Darkthrone, tendiamo in maniera naturale ad immaginarci dei personaggi quasi mitologici per il modo in cui si dedicano alla musica e alla scena, che diventa una sorta di religione, una way of life sacra a cui essere fedeli in eterno (e l’accusa di tradimento di questi principi sarà una di quelle che Varg nel film muoverà ad Euronymous). Åkerlund compie una sorta di eresia, mostrandoci i Mayhem che trangugiano panini dal kebabbaro sporcandosi di salse o che bevono al pub schiamazzando e rovesciando birra. Senza contare che i terribili sovversivi che minacciavano le fondamenta della società norvegese bruciando le chiese spesso e volentieri alzavano il telefono per chiedere soldi ai genitori, da bravi figli della borghesia. Fa eccezione il personaggio di Dead (uno svedese, come Åkerlund), primo cantante dei Mayhem morto suicida, al quale l’autore riserva un trattamento di favore, preservandone l’aura di eroe maledetto. È una farsa tragica quella di Lords of Chaos, un film che al netto di qualche ingenuità e semplificazione di troppo (il razzismo, la misoginia e l’omofobia dei protagonisti sono appena accennati), riesce a creare il giusto compromesso tra celebrazione e critica, trasformandosi in una sorta di rito purificatore che Jonas Åkerlund aspettava di compiere da chissà quanto tempo.