Amazon Prime, Drammatico, Thriller

THE WALKER

Titolo OriginaleThe Walker
NazioneU.S.A., U.K.
Anno Produzione2007
Durata 108'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Scenografia
Costumi

TRAMA

Ha un cognome che, grazie a suo nonno e soprattutto a suo padre, in passato ha solcato con successo le vie della politica. Lui invece la politica la frequenta da accompagnatore mondano di mogli di senatori e altri potenti. Partite a canasta e serate teatrali con signore, tra aneddoti e pettegolezzi; una relazione aperta ma confinata e notturna con un uomo. Un delitto imperfetto, poi, porta la polizia a sospettare di lui, Carter Page III, mentre le sue fragili certezze pian piano si sgretolano.

RECENSIONI

Era ancora soltanto uno script, ne discuteva con diversi attori ma senza che le cose poi si concretizzassero; doveva essere per lui il capitolo che trasformava una trilogia (Taxi Driver per Scorsese, American Gigolò e Lo spacciatore) in tetralogia. Era, chiaramente, un ritorno dalle parti del Julian Kay di Richard Gere (l'idea primigenia, in realtà, era stata quella di un sequel), con uno scarto fondamentale, perché questo walker - raccontava Paul Schrader a George Kouvaros nel 2005, quando il film ancora non c'era - «sa di essere superficiale e, infatti, ne va fiero. Ha fatto di ciò parte della propria protezione. Credo che il ruolo del Gigolò fosse, sotto molti aspetti, poco complesso. The Walker lo è molto di più». Un progetto coltivato a lungo, prima di realizzarsi.
Dalla Los Angeles di Julian, allora, da quello che saranno gli anni Ottanta Usa, alla Washington DC di Carter Page III, anni Zero del nuovo secolo, un'America uguale e contraria alla precedente, con l'11 settembre e i suoi derivati a volar via in un lampo, dietro una battuta, in un frammento di dialogo, con le torture di Abu Ghraib che diventano materiale di ricreazione artistica per Emek (Moritz Bleibtreu), fidanzato del protagonista. È Carter Page III (Woody Harrelson), nipote e figlio di autorevoli politici del passato, omosessuale accompagnatore di signore e mogli dell'alta politica nazionale, tra salotti esclusivi e occasioni mondane; elegante, capi d'abbigliamento selezionati come i suoi modi gentili, accurata l’ironia, facile e arguta la conversazione, blindato il suo mondo interiore. L'omicidio di Robbie Kononsberg (Steven Hartley), amante della sua confidente Lynn Lockner (Kristin Scott Thomas), moglie di un influente senatore (Willem Dafoe), squarcia quel mondo, ma clandestinamente: lo smarrimento è quello più umano, la superficie è la forma che si sostanzia.

Si colloca in uno spazio strano della filmografia del suo autore, The Walker (2007), si infila dopo Dominion: prequel to the Exorcist (2005) e prima di Adam Resurrected (2008) - e forse saranno quei Canyons (2013) osservati insieme a Bret Easton Ellis a risucchiare davvero gli States che American Gigolò (1980) aveva visto nascere -. The Walker è un thriller sedotto e a sua insaputa abbandonato, perché se limpida è l'esposizione, perfetto e circolare l'apparato narrativo, ogni progressione di significato, di senso, sembra essere irrimediabilmente causale e casuale, una sovrascrittura, una corrispondenza negata, solo un'estensione. Il genere, qui, è l'incarnazione di un destino, è la gabbia, il cul-de-sac del protagonista, e, insieme, una membrana, prima di diventare dieci anni dopo - e avverrà col noir - un relitto in Cane mangia cane (2017). Carter Page III è una sintesi impossibile, una formazione minimale e radicale, informe e assoluta, una figura che non può provenire da nessun altro luogo, da nessun altro altrove narrativo, estetico, semantico, perché - come ha scritto Corrado Morra in un libro curato da Alberto Castellano (Paul Schrader. Il cinema della trascendenza, Mimesis 2016) - l'eroe schraderiano è «abitato da una sostanziale impotenza impostagli dal convulso e incontrollabile discorso dei suoi fantasmi interiori».

The Walker non è un film sull' "eroe" di Harrelson ma su ciò che questi non è, che non può essere, che non può comprendere, forse è un film su un film parallelo, invisibile, assente, su Carter e suo padre, figura che conosciamo solo perché evocata dai personaggi.  Perché la parabola del protagonista è una non parabola, non è una storia ma la sua iscrizione in un involucro performativo, amplificante, in una cornice critica, in una rifigurazione delle sue articolazioni interne sempre insufficiente, sempre destinata a fallire, sempre non compensativa, del reale, del possibile. Come se solo fuori dal quadro e fuori dalla circolarità del film, fuori dal genere (che non è più una rete di relazioni, non è struttura, discorso, ma pura meccanica applicata, una finestra chiusa su un universo diegetico doppio, ingannevole, feroce) possano esistere e individuarsi altri scarti identitari, ipotetici e autentici spazi di narrazione. L'affresco sociale e politico di Schrader è lucido, implacabile, il regista lavora metodicamente, classicamente, sulle forme ma "estrae" Carter per astrarlo dentro il linguaggio: questo walker è figura incompatibile e Harrelson la incorpora quasi il suo fosse uno studio, più che un ruolo. Le parole attraversano, le immagini dicono, ma la verità è un fuori campo introvabile, il piano-sequenza un movimento illusorio, predeterminato. Solo il cinema, qui, è, ancora una volta, questione radicalmente morale.