Serie TV

NOW APOCALYPSE

Titolo OriginaleNow Apocalypse
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2019
Numero Puntate10

Ulysses è un giovane gay a Los Angeles, tra incontri online, sesso occasionale e non. Ha due amici, il macho Ford e la camgirl Carly. L’invasione aliena si avvicina.

Gregg Araki inverte i termini del classico: da Apocalypse Now a Now Apocalypse. Adesso la fine del mondo, e non viceversa: il termine “now” ottiene la prima posizione perché è dell’oggi che si sta parlando, del qui e ora. Prima c’è il nostro mondo, dunque, e dopo viene l’apocalisse: così la serie in dieci episodi di 30 minuti, scritta e diretta per Starz, co-prodotta tra gli altri con Soderbergh, pianta radici nel contemporaneo e nelle sue sciocchezze. I tre personaggi principali sono ragazzi dalla sessualità incerta: il protagonista Ulysses è un giovane gay che passa di uomo in uomo, di app in app, assaggia l’ombra di un rapporto per poi tornare al dating, va perfino con una donna; Ford è il migliore amico muscoloso, oggetto di fantasie, maschio etero traballante profondamente innamorato della sua ragazza Severine, che però vuole un rapporto aperto fatto di orge; Carly è una camgirl, l’ennesima che per lavoro si offre allo sguardo degli altri, e ama dominare il fidanzato asiatico cotto di lei. Dopo il film White Bird del 2014, tratto da un romanzo di Laura Kasischke che costringeva il regista al compromesso, seppure con un twist omosessuale molto “arakiano”, qui Araki torna alla forma più ludica del suo cinema: identità incerte, cromatismi fluo, esplosioni di colori (paradigmatici sono i titoli di coda).

È l’estensione di Kaboom, con cui condivide Roxane Mesquida: il New Queer Cinema si riversa nella serialità tenendo fermi i suoi temi e ossessioni, in primis la sessualità liquida dell’oggi con la sua sfacciata provocazione che in realtà è solo uno scherzo, l’esagerazione e lo stereotipo, la volontà di riderci sopra. Araki dirige ottimamente gli attori che recitano col corpo, dalla marchetta skinny di Avan Jogia al fisico Big Jim di Beau Mirchoff, passando per la carne virtuale di Kelli Berglund che in videochat è “come tu la vuoi”. Così ripassa ogni cliché, dalle app gay alle perversioni nello spirito del tempo, il ménage à trois e la dominazione che arriva a sculacciare il presunto macho. Il regista distrugge la mascolinità con l’ironia estrema, inscenando etero che fanno i gay, palestrati che chiamano la mamma, uomini che piangono per donne ciniche e aperte. La serie inizia e finisce con un rapporto sessuale: il primo è il solito incontro gay di Ulysses, l’ultimo è lo stupro di un alieno. Sì, perché in questa rimessa in scena di stereotipi arakiani (e quindi del queer) c’è un però: forse sta arrivando la fine del mondo. Dopo il “now” c’è appunto l’“apocalypse”: strani avvistamenti si materializzano nei vicoli in cui si va a pomiciare, incubi turbano i sogni, esseri verdi si affacciano a intervalli irregolari nelle peripezie erotiche del protagonista, chiamato sfacciatamente Ulisse, nomen omen di un’odissea nel frivolo.

Come sempre Araki è in grado di frullare tutto nel suo calderone: frammenti di un immaginario, cinema e meta, fino ad arrivare a rappresentare perfino un boss della Starz (e la camgirl che lo incontra lo riconosce come suo cliente). Lo scarto, stavolta, sta nel mescolare la sex comedy all’invasione aliena. Così l’autore: “Molte volte quando fai una commedia sui millennial la storia si esaurisce molto presto. Tutti vanno a letto con tutti e tutti tradiscono tutti. Volevo provare a mantenerla viva e portare a chiedersi: che cavolo sta succedendo?”. Ecco allora che le vicende dei ragazzi si alternano in montaggio frenetico, su uno statuto della realtà precario e scivoloso, dipinto di colori sgargianti. Quando deve tirare le fila poi Araki lascia intravedere il suo disegno: gli alieni sono tra noi e possiedono brutalmente coloro che vengono lasciati, i cuori infranti. Corpi deboli e disperati, anche solo per cinque minuti, quindi adatti ad essere “invasi”. Perché la fine del mondo è la fine dell’amore. Che poi questi amori siano palesemente sbagliati, in controtempo, trovati su app non fa che aumentarne la beffa. Ecco a cosa servono i rettiliani di Araki: a violentare uomini delusi, perché qui anche gli alieni sono queer, e quel pene rotante colpisce tra il B-movie alla Inseminoid, il pornohorror L.A. Zombie di LaBruce e il trash della Troma. Secondo Araki “il finale è una delle cose migliori che abbia mai girato”. La serie è stata sottovalutata, stroncata, non rinnovata per la seconda stagione: resta, soprattutto, follemente divertente. Per le nostre apocalissi una catarsi.