Drammatico, Recensione

MA MÈRE

Titolo OriginaleMa Mère
NazioneFrancia
Anno Produzione2004
Durata110'
Sceneggiatura
Trattodal romanzo Ma Mère di Georges Bataille
Scenografia

TRAMA

Pierre, un adolescente di 17 anni, nutre un amore cieco per sua madre, che non è pronta ad accettare ciò che suo figlio proietta su di lei …

RECENSIONI

Primo adattamento cinematografico di un testo altrui per Honoré, Ma Mère è ancora oggi, probabilmente, il suo film più controverso e incompreso. Se Pierre idolatra la sua genitrice, questa sente di dover essere amata per quello che davvero è, una donna che della dissolutezza ha fatto la sua ragione di vita. Rivelata al figlio la sua natura, lo inizia a una vita di perversioni. Esplicitando il sottotesto immorale di un romanzo di George Bataille, il francese ne fa rappresentazione ricercatamente indecente: l’insistenza sulle situazioni più perverse e provocatorie è deliberata, rispondendo alla volontà del regista di mettere in scena ciò che nel romanzo - incompiuto e pieno di lacune - è, per l’appunto non rappresentato o irrapresentabile. La storia di Hélène e Pierre (Isabelle Huppert e Louis Garrel), madre e figlio, è dunque quello di un racconto di formazione malsano e incestuoso, in dialogo sottinteso con La luna di Bertolucci di cui Honoré riprende l’inaccessibilità del padre, la sua morte come evento scatenante e, soprattutto, lo spaesamento geografico del protagonista (un americano a Roma, qui un francese alle Canarie) come evocazione della confusione adolescenziale: l’esotismo del contesto è dunque una condizione esistenziale, ciò che vi avviene automaticamente simbolico, paradigmatico, iniziatico.

Non temendo l’incomprensione e le telefonate accuse di abbracciare il ridicolo (un atteggiamento abituale nei confronti del regista che, col tempo, alla luce dei lavori successivi - forza della poetica -, si è lentamente dissolto), Honoré conferma il suo come un cinema che racconta intimità, sentimenti e pulsioni attraverso il dato ineludibile del corpo. E lavora alla storia di Bataille mimandone il caos, con la stessa libertà con la quale, a teatro, si lavora su un testo romanzesco preesistente: sperimentando su dialoghi e situazioni, giocando di contrasto tra l’eloquio letterario di Hélène (che replica quello dello scrittore) e quello di tutti gli altri personaggi (che il regista inventa di suo pugno), restando sul dato prosaico e non indulgendo sul risvolto psicoanalitico. Un’artificialità ribadita dalle scene di sesso - volutamente frantumate dal montaggio, proprio per esaltarne il carattere innaturale e artefatto - e da quelle più visionarie e astratte (Pierre sulle dune) che si riconnettono a quel motivo metaforico-primordiale cui si accennava.
Paradossalmente proprio questo, che è un adattamento, rimane il titolo del regista più vicino ai toni, alle situazioni e al disagio morale della sua letteratura.

Da evitare la versione tv (attualmente su Prime), non solo massacrata da venti minuti di tagli, ma totalmente incomprensibile. Doppiaggio italiano incommentabile.