Azione, Criminale, Recensione

HUNTER’S PRAYER

TRAMA

Killer al soldo del trafficante di droga Richard Addison, Lucas non se la sente di uccidere per lui la sedicenne Ella e la protegge dagli altri assassini inviati. In fuga dalla Svizzera in Francia, arrivano a Leeds, dove Addison risiede.

RECENSIONI

Assente dal grande schermo dal 2009 (Il Mondo dei Replicanti), Jonathan Mostow ha fatto sentire la sua mancanza: uno dei pochi artigiani in circolazione capaci di consegnare solidi film di serie B (anche quando inseriti in saghe di serie A, vedi Terminator 3), uno dei pochi professionals con il genere nel sangue, che sanno portare a termine con onore anche il peggior script (e che, del resto, non saprebbero che farsene di scritture potenzialmente più complesse di loro). Anche in questo caso, Mostow fa la sua bella figura con un’ora e mezza di azione, inseguimenti e sparatorie: per le mani, purtroppo, ha una sceneggiatura (o quel che ne resta nelle sequenze di immagini) che mira ad iscriversi nell’affollato filone con giustizieri ed esperti assassini per buona causa, pronti a salvare o vendicare l’innocente, rinverdito con il brand di successo della factory di Luc Besson. Per quanto sia firmata dai fidati John Brancato e Michael Ferris che, per Mostow, hanno pennellato le due pellicole sopra citate, la sceneggiatura adatta un romanzo di Kevin Wingall che, almeno su schermo, non offre alcun ingrediente originale. Sono il risultato di uno scriteriato taglia-e-cuci in fase di montaggio, invece, i vistosi buchi nella trama che non spiegano, ad esempio, perché Lucas si droghi, quando abbia deciso di non uccidere più e cosa c’entri, nell’economia del racconto, il dettaglio su Richard Addison che alleva cani assassini. Anche Mostow perde il senso dell’equilibrio in due o tre scene inverosimili in cui, soprattutto, mal gestisce reazioni e azioni della sedicenne di Odeya Rush. Ma, detto questo, funziona.