Biografico, Recensione

DEMONI E DEI

Titolo OriginaleGods and Monsters
NazioneU.S.A.
Anno Produzione1998
Durata105’

TRAMA

1957: ormai dimenticato e colpito da un’emorragia cerebrale, il regista James Whale passa il tempo a corteggiare i ragazzi. Resta affascinato da un giardiniere e la cosa pare reciproca ma è etero.

RECENSIONI

Oggetto prezioso, fondato su scrittura e recitazione, per opera di un regista (e sceneggiatore) originario del Queens (“L’unica altezza che ha conosciuto è…il Queens”, dice il film) e autore, fra le altre cose, del sequel del Candyman di Clive Barker, qui produttore esecutivo entusiasta di rendere omaggio a una figura a lui simile, inglese trapiantato negli Stati Uniti, gay e maestro dell’horror. Condon illumina l’ultimo anno di vita di James Whale, facendo di necessità virtù per il basso budget (nessuna rivisitazione cinefila alla Ed Wood), omettendo i suoi anni hollywoodiani e lavorativamente gloriosi, disinteressato a restituirne una biografia esaustiva. La sceneggiatura, nella prima parte, è volutamente sottotono per sondare con passo felpato l’uomo e il suo allievo (ritratto speculare ad un altro film coevo “da camera” e sempre con Ian McKellen, L’Allievo), presto ricompensando per le emozioni che impasta, le sapide riflessioni, gli eleganti paralleli. Il Whale di McKellen è memorabile: malinconico ma con l’aplomb e lo humour fulminante inglese, omosessuale dichiarato e indefessamente vizioso, amante dell’ingenuità (il tipo di Brendan Fraser) ma non della stupidità (la principessa, ad esempio), della vita solo se vissuta con il pieno possesso delle proprie facoltà, sofferente per il distacco dall’amato cinema ma allo stesso tempo felice di sentirsi libero dai compromessi di quel mondo: attribuisce la rovina della propria carriera a quel The Road Back massacrato dai produttori e passato ad altro regista (per l’odio che gli dimostra, potrebbe essere George Cukor). Non è da sottovalutare la prova di Brendan Fraser: era difficile sembrare un macho-man imbambolato che cresce “dentro” grazie a questo incontro. Il Whale di Condon è terribile e simpatico come i suoi film, che brindavano “Ad un nuovo mondo di déi (i bei ragazzi scultorei) e mostri” (citato da La Moglie di Frankenstein) con l’orrore nato da un odio da far risalire all’infanzia infelice e allo shock della guerra di trincea, e l’ironia figlia di uno spirito cinico, sarcastico ed iconoclasta (divertente il rapporto con la domestica che lo adora ma si scandalizza), con la visionarietà kitsch dell’uomo-donna, il senso della solitudine che è proprio di tutti i mostri, i “diversi” come lui, come Jimmy/Fraser, come la creatura di Frankenstein. L’inquadratura del corpo di Jimmy nella piscina, insieme cruda e grottesca, è perfettamente in sintonia, così come la chiusura in cui Jimmy imita un goffo Boris Karloff che gioca con la pioggia è un misto buffo e patetico. Nei pochi excursus dall’unità di luogo (la villa di Whale) ci sono flashback sulla Prima Guerra Mondiale, il set di La Moglie di Frankenstein e un bellissimo sogno simbolico che, nell’epilogo, fomenta ulteriori rimandi in un’opera che, piano piano, si trasforma in un generoso ed affascinante gioco di specchi, ricco di umanità e arguzie (da incorniciare lo scambio di battute con i sigari.): in questo sogno Jimmy si trasforma da scienziato che ha in cura la mente di un Whale che non ha ancora fatto i conti con il proprio passato, in mostro che lo accompagna verso la pace eterna. Nella realtà i ruoli si invertono (Jimmy diventa un assennato padre di famiglia, in “equilibrio”).   I titoli di coda sono preceduti dalla dicitura “A good cast is worth repeating”.