Drammatico

PARTENONAS

Titolo OriginalePartenonas
NazioneLituania, Ucraina, Francia
Anno Produzione2019
Durata119'

TRAMA

In un misero bordello ai piedi di una fortezza ateniese, un uomo ripercorre le incredibili vicende della sua vita. La sua ricerca di amore e gloria è raccontata e rivissuta attraverso molti personaggi: una prostituta dal passato irredimibile, un gangster perseguitato dalla sfortuna, un pittore di icone senza fede… In una delle storie l’uomo trova la ricchezza; in un’altra diventa un profeta vagabondo; in un’altra ancora torna a casa dalla moglie. La memoria lo tradisce, ma quello che sa per certo è che, in una di queste vite, lui verrà ucciso.

RECENSIONI

Partenonas è un cerchio con molti centri. Se provassimo a tracciare un’ipotetica linea che rappresenti il movimento interno dell’opera, potremmo facilmente visualizzare questa non-figura a più dimensioni. Circolare è il percorso dell’errante africano (Mehdi Mohammed), il quale inizia il proprio viaggio, nella prima scena del film, emergendo da una vasca da bagno (manifestazione della nascita e della volontà in potenza), e che alla fine, dopo essere stato ucciso, rinascerà in altre acque, completamente smarrito e dimentico di quella visione che ha costituito l’intenzione del suo cammino. Circolare è il tempo in cui sono immersi i personaggi, i quali attraversano lo spazio in una realtà ciclica e sincronica che li vede, talvolta inconsapevoli (il caso dell’errante di cui sopra; il trafficante d’oro Garip; la padrona del bordello) e talvolta addirittura veggenti (la prostituta ucraina, che anticipa il futuro di Garip e “vede” la realtà d’insieme), uniti in destini interconnessi e co-dipendenti (che siano, effettivamente, manifestazioni di un’unica coscienza?). I meccanismi rituali e le tradizioni religiose stesse, evocati attraverso la figura di una restauratrice d’icone (Rita Burkovska) che si occupa di alcuni rifugiati in un ospedale di Odessa, così come i fantasmi di una rivoluzione che non si realizza, fantasmi emanati tanto dal canto di Bandiera Rossa quanto dalle manifestazioni popolari anti-sistema che si dipanano per le strade di Atene, avviluppano in un grande cerchio tutte le storie che animano l’opera di Mantas Kvedaravičius. Infine, lo spinning del nastro magnetico che riproduce porzioni di memorie onnipresenti, storie di sofferenza e devastazione fisica e morale che i migranti e i profughi hanno vissuto e che perennemente sono costretti a vivere, descrive la tensione interna che trova eco nella pluralità delle voci coinvolte. La macchina da presa, mobilissima e ipercinetica, segue con prodigiosa naturalezza le traiettorie delle molte vite vissute dai singoli personaggi, ponendo l’accento sulla connessione tra i loro universi interiori e le rovine che dominano, con i loro cumuli di macerie, lo spazio esterno. Ed è proprio il sentimento della rovina, al tempo stesso di natura storico-filosofica (il Partenone che compare, stampato non a caso su un poster, nella primissima inquadratura del film, simbolo dell’isegoria ateniese di Pericle e dell’idea di una società basata sul concetto di isorropia, ovvero sull’equilibrio sociale realizzato attraverso la misura comunitaria contrapposta al disordine smisurato della società capitalistica nella quale oggi viviamo) e interiore-esistenziale (i profughi che hanno perso tutto e che brancolano nell’oscurità di luoghi devastati, umiliati dalla Storia e dilaniati da vicende personali traumatiche), che Kvedaravičius indaga con radicalità, disegnando con tratti ellittici e connessioni epifaniche un universo in cui l’amore e gli affetti sono banditi, spazzati via dalle spietate dinamiche in atto. Di fronte a una disamina ontologica che sembra chiudere ogni possibilità di relazione, è proprio la figura della prostituta (e, nel finale, anche quella di Garip, che accoglie l’errante preparandolo a un nuovo possibile percorso) a conservare lo spirito di umanità narcotizzato dalle contingenze sociali: il suo abbraccio alla padrona del bordello, intrappolata nel ritornello astenico che identifica l’amore con la sofferenza, costituisce in senso assiologico un auspicabile punto di partenza (e, si spera, d’arrivo).