Drammatico, Fiabesco

ELECTRIC SWAN

NazioneFrancia, Grecia, Argentina
Anno Produzione2019
Durata40'

TRAMA

Si intrecciano le vite eterogenee e le inquietudini dei condomini di un palazzo in Avenida Libertador, Buenos Aires, che trema in alto e in basso si allaga.

RECENSIONI

Sospeso e surreale, e fuori concorso, alla 76° Mostra del Cinema di Venezia c’era anche il nuovo corto di Konstantina Kotzamani. Racchiuso nei suoi 40 minuti, confinato nei suoi riquadri fuori dal tempo, è il corto più lungo della regista greca che ha studiato cinema alle Belle Arti di Salonicco, producendo dal 2011 un grappolo di film stilisticamente coerenti fruiti di festival in festival da Cannes a Berlino a Locarno, in cui già da Washingtonia (2014) si intuiva il prudente fermentare di un futuro lungometraggio che sembra stia infine arrivando con il titolo di Titanic Ocean.
Nel suo universo estatico e distaccato, statico eppure instabile, linearmente grottesco, l’asprezza della New Wave greca assume toni pastello che non la smorzano, ma la trasmutano: maiali (Pigs),  balene (Limbo), giraffe (Washingtonia) e cigni, sono maschere, pupazzi, congegni, esotismo in decadrage, elementi di una natura metà allegorica metà ornamentale, come un dipinto di Rousseau che diventa carta da parati impallidita; cani sacrificabili scandiscono i legami affettivi: straniati, dolorosi, nulli. Konstantina rimescola elementi di un cinema già conosciuto, studiato, in forma sperimentale, ma, soprattutto, in forma personale. Ricorda, naturalmente, il connazionale Lanthimos, ma senza sadismo; c’è del Seidl, ma senza cinismo; c’è Jeunet, ma senza romanticismi di maniera; ci fu perfino del Noè, nel Morning Prayers con la coregia di Katarina Stankovic; e si affaccia del Toro, ma senza amore.
In Electric Swan un palazzo di molti piani oscilla e ed è soggetto a infiltrazioni di acqua. Più si sale, più si avvertono movimenti tellurici, più si scende, più l’acqua allaga i pavimenti e, fra la paura di cadere e quella di annegare, il portiere tarchiato e la ballerina filiforme si incontrano, si salutano, vivono sogni diversi, nello stesso stabile, instabile. Dal tetto allo scantinato, salgono e scendono mondi non comunicanti, età, aspetto, classi sociali disparate.
Un lago dei cigni verticale e surreale è il microritratto della capitale argentina filtrato dall'immaginazione della regista greca, che a Buenos Aires ha trascorso un anno beneficiando di una borsa della Fondazione Onassis, a scrivere quello che sarà il suo primo lungometraggio in collaborazione con l'Universidad del Cine.
Il cigno c’è, ma non si vede. È l’unico che sappia nuotare, ma appartiene pur sempre ai confini di un lago. E forse non è neanche un vero cigno. Siamo in una Buenos Aires di un imprecisato tempo dopo: il film si apre con la ripresa dello stesso luogo con la sgranatura di un vecchio filmato, che lascia intuire un tempo precedente. Nulla è cambiato, se non l’immagine. E già questo dice molto di un cinema della crisi che interpreta l’immobilismo di lungo corso di un paese rimasto ai margini d’Europa, pieno dei suoi sogni e delle sue invenzioni: forse non è un caso che il 2009 sia al contempo l’anno ufficiale dell’inizio della crisi economica greca e l’anno di Dogtooth.
Difficile indovinare dove vorrà condurci, nel tempo, la giovane regista greca, interprete di inquietudini dal surrealismo magico disincantato. La aspettiamo e stiamo a guardare.