
TRAMA
Il proiezionista Jack, sposato con una donna di origini nipponiche, parte per il fronte quando gli Stati Uniti dichiarano guerra al Giappone durante la Seconda Guerra Mondiale. L’amata e i suoi parenti sono internati in un campo di concentramento.
RECENSIONI
Il racconto di Alan Parker offre spunti inediti nell’analisi culturale e di costume di un legame sentimentale interrazziale: l’autore si muove su di un terreno per lui inedito, di matrice intimista, fondato sullo studio psicologico, i rapporti interpersonali e le scene stanziali. Restituisce un’opera sintatticamente accademica ma coinvolgente nella matrice umanista, con piglio sincero non inficiato dalle eccentricità che ne contraddistinguono lo stile, qui voltato a un formalismo di pura eleganza (notevoli la fotografia di Michael Seresin e il commento sonoro di Randy Edelman). La sua sceneggiatura, ispirata al ‘Giulio Cesare” shakespeariano e a Il Dottor Zivago, è ricca di risvolti, per lo più dolorosi ma mai calcati artificiosamente per servire il melodramma: al regista non è mai mancata l’abilità drammaturgica nel premere i tasti giusti per emozionare e infervorare con l’ingiustizia (le segregazioniste ordinanze statunitensi, dallo stato californiano che proibisce il matrimonio interrazziale al governo che limita le libertà civili dei cittadini nippo-americani). Nonostante la traccia sentimentale e di lotta sindacale abbia per protagonista il personaggio di Dennis Quaid, per Parker è centrale la dignità con dramma della famiglia Kawamura (straordinaria Tamlyn Tomita; non da meno Elizabeth Gilliam che interpreta la bimba Mini). Un precedente dimenticato sull’argomento, il primo film statunitense a trattarlo, il meraviglioso All'inferno per l'eternità (1960) di Phil Karlson.
