Fantascienza, Recensione

GODZILLA II

Titolo OriginaleGodzilla: King of the Monsters
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2019
Durata132'
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

La paleobiologa Emma Russell lavora per l’organizzazione cripto-zoologica Monarch per rintracciare e studiare i Titani, giganteschi mostri simili a divinità che un tempo dominavano la Terra. Lei e sua figlia Madison assistono alla nascita di una larva gigante soprannominata Mothra. Emma calma la creatura con il dispositivo ORCA che è in grado di emettere frequenze che solo i Titani possono ascoltare. Mothra diventa docile, finché un’organizzazione di eco-terroristi, guidata da Alan Jonah, attacca il sito e rapisce sia Emma che Madison. Mothra riesce a fuggire e a formare un bozzolo sotto una cascata.

RECENSIONI

Godzilla II vive di uno scollamento: visivamente sontuoso e – a suo modo - raffinato, narrativamente privo di senso. Quello che è riuscito a fare Dougherty, ancor più che Edwards, è stato trovare un equilibrio tra la riproposizione dei costumi in lattice classici e la grandeur dell’effettistica contemporanea. Gojira, Rodan, Mothra, Ghidorah sono quelli ingenui e ridicoli (e ingenuamente ridicoli) dei decenni scorsi ma re-immaginati per tiranneggiare lo schermo del qui e ora. L’ossimoro funziona. Fattezze, sembianze e movenze dei kaijū sono le stesse dei Godzilla passati, ricevibili solo al secondo grado, ma l’impatto visivo, la grandiosità quasi materica del digitale sono assolutamente attuali, generando un connubio dal sapore nostalgico e insieme contemporaneo vivente. Anche la fotografia, virata al monocolore, contribuisce a ricreare un’atmosfera cromatica che ricorda il B/N di Honda e diventa una scelta stilistica molto consapevole a caratterizzante. Venendo alla sceneggiatura: è semplicemente inaccettabile. Un affastellarsi di dialoghi e avvenimenti inconsistenti, dei quali sfugge – francamente - il perché. Il piano dei terroristi, coadiuvati dalla paleobiologa Emma Russell, è del tutto arbitrario e ingiustificato (una specie di copia sbiadita e meno coerente di quello di Thanos), i dialoghi vanno di pari passo e ben presto la storia diventa un rumore di fondo. Si decide, cioè, di rinunciare a seguire una vicenda priva di costrutto e ci si abbandona all’Epica degli scontri tra kaijū, che fanno la loro figura e, come già detto, riescono a coniugare l’ingenuità vintage dei Godzilla-Movies classici con i muscoli tecnologici (e registici) di Pacific Rim. Viene quasi voglia, però, di concedere a Dougherty, Borenstein e Shields il beneficio del dubbio: le sceneggiature dei Godzilla storici non brillavano certo per essere dei capolavori di scrittura e non è da escludere che l’approccio demenziale allo script volesse riprodurre, almeno concettualmente, la riuscita – e ibrida – attualizzazione dell’imbarazzante (per gli standard odierni) impatto visivo originario. Incoraggiano questa (sovra)interpretazione i rimandi precisi e circostanziati ai film dell’Era Shōwa come Il Re Dei Mostri (1955, il “Godzilla II” dell’epoca) , Watang, nel favoloso impero dei mostri (1964, primo incontro tra Godzilla e Mothra) o Ghidorah, il mostro a tre teste (1964, con protagonisti tutti i kaijū di Godzilla II). Si potrebbe, in definitiva, azzardare che il film di Dougherty abbia una sua coerenza, figlia del desiderio di omaggiare i classici sia a livello iconografico che narrativo. Il problema è che poi il film è un pacchetto completo e non ci si può limitare a guardarlo. Va anche ascoltato e, soprattutto, seguito. E lì iniziano i guai.