Commedia, Sala

LA CADUTA DELL’IMPERO AMERICANO

Titolo OriginaleLa chute de l'empire américain
NazioneCanada
Anno Produzione2018
Genere
Durata127'
Sceneggiatura
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Pierre-Paul ha 36 anni e nonostante un dottorato in filosofia deve lavorare come fattorino per tirar su uno stipendio appena decente. Un giorno, durante una consegna, si ritrova suo malgrado sulla scena di una rapina finita male, che lascia sull’asfalto due morti e altrettanti borsoni pieni di soldi. Cosa fare? Restare a mani vuote o prenderli e scappare? I guai sono appena iniziati.

RECENSIONI

Vis polemica. È forse solo il gusto di questa a rendere frizzante La caduta dell’impero americano. Questo, e non un qualsivoglia moto di comprovata indignazione o una genuina volontà di analisi socio-economica. Questo, e la firma un po’ sbiadita di Denys Arcand che, con una commedia satirica che incrocia il caper movie, chiude una trilogia ideale iniziata con Il declino dell’impero americano (1986) e passata per Le invasioni barbariche (2003), vincitore di un Oscar per il miglior film straniero.

Il film si apre con una scena dall’ambizione vagamente (o forse solo accidentalmente) tarantiniana: un ragazzo e la presto ex fidanzata sono seduti uno di fronte all’altro in un anonimo diner. Si stanno lasciando. Campo e controcampo, il lungo dialogo ambo parti ce la mette tutta per essere smart: name-dropping di una buona manciata di filosofi con relative citazioni, accenni politici e a politici, perle di saggezza urbana spicciola. Questo uomini contro donne ridotto all’essenza ha se non altro il pregio di fornire una chiara introduzione al nostro protagonista – un giovane fattorino spiantato ma laureato in filosofia. È anche un’utile premessa metodologica a tutto quello che seguirà nelle successive due ore: moralismo didascalico e incedere programmatico, ma non senza una certa ironia.

“È questo che ha ucciso gli Stati Uniti. Il denaro. Credere unicamente nel denaro.”  Sì, ci sono (ancora) dialoghi così. E sì, il denaro è centro e motore della vicenda, specialmente quando Pierre-Paul (sì, il protagonista si chiama così) arriva accidentalmente sulla scena di una colossale rapina e, trovatosi davanti due sacchi pieni di contanti, pensa che magari è arrivata la volta buona di cambiare vita. Ai sensi di colpa per l’atto illecito si accompagna presto anche l’angoscia di gestire l’enorme somma senza dare nell’occhio. Mentre due poliziotti – sorta di Mulder e Scully québécois senza ufo nelle vicinanze – stringono sempre di più il cerchio, Pierre-Paul si fa aiutare nell’impresa da una escort d’alto bordo, che si fa chiamare Aspasia e di cui ovviamente si innamora, e da un ex galeotto diventato improbabile consulente finanziario dopo gli studi in carcere. (Interessante il ruolo che viene dato all’istruzione nel film, agente di netti contrasti: il fattorino la cui alta formazione da filosofo è fonte di frustrazione, il galeotto che contro i venti avversi si diploma brillantemente in economia). Pierre-Paul è nato povero e non è certo così ingenuo da pensare che i soldi regalino la felicità, pensa tuttavia che possano spianare la strada perlomeno ad un senso di serenità. Ed è qui che il film lo castiga, montando linearmente un teorema che passo per passo ci spiega, senza davvero dimostrare, quanto il denaro sia fonte di tristezza, ansia, paura, pressioni. Il sillogismo è tanto più spinto in quando decorato da un opportuno determinismo socio-morale: i poveri sono buoni, perché non si rendono conto fino in fondo del valore del denaro (le scene alla mensa dei poveri, i dialoghi fra i clochard la cui immagine viene in più di un’occasione usata come contrappunto per spezzare l’idillio, compreso il discutibile finale); i ricchi sono invece cattivi, perché il denaro corrompe tutto e non c'è neppure bisogno di discuterne (e così il banchiere che pure li aiuta a farla franca si merita comunque la prigione, e se non ci va per questioni finanziare ci finisce comunque per un illecito sessuale, ohibò). Si salvano in corner Aspasia, che se non altro è consapevole di essere stata “rovinata dai soldi”, e soprattutto Pierre-Paul, che la farà pure franca con il denaro rubato ma – hey! – [spoiler] lo userà per aiutare i bisognosi clochard.
Filmato senza particolari preoccupazioni formali e pesante nel segnare il passo con il gessetto della didascalia, La caduta dell’impero americano è un film che, nonostante le intenzioni dell’autore, cerca la satira senza trovare mai l’urgenza. Allo scoccare delle due ore, rimane comunque uno spettacolo che non fa male, gli attori se la cavano più che bene e tutto sommato chi può obiettare che lo sporco denaro sia la causa di tutti mali?