- Commedia
- Drammatico
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TRAMA
Gloria è una donna dallo spirito libero, la sua passione è il ballo. In un club conosce Arnold e se ne innamora.
RECENSIONI
Partiamo dalla fine.
Gloria è seduta. Parte la canzone: Gloria, ovviamente. La canticchia. Canticchia sempre lei, soprattutto in macchina con l'autoradio. È un invito la canzone. Non molla, Gloria. Si alza, si ributta in pista, la balla.
La chiusa di Gloria Bell è il punto perfetto da cui partire per parlare di Gloria, di Gloria e di Gloria Bell. Gloria Bell è infatti l'auto-remake di Sebastián Lelio di Gloria, film cileno del 2013 presentato alla 63ª Berlinale, dove l'attrice protagonista Paulina García aveva vinto il premio per la miglior interpretazione femminile, che aveva aperto le porte del successo al suo regista. Successo riconfermato quattro anni dopo con Una donna fantastica, la storia di una transgender cilena osteggiata dai parenti del suo defunto compagno, vincitore dell'Oscar al miglior film in lingua straniera nel 2018, e con l'apertura delle porte di Hollywood con Disobedience, storia d'amore lesbo nella clausura del mondo ebraico, suo primo film in lingua inglese, con Rachel Weisz e Rachel McAdams. Evidentemente per Sebastián Lelio, regista di donne, la sua Gloria aveva ancora qualcosa da dire, in un altra lingua e in un altro Paese, in termini d'espressione e soprattutto di pubblico raggiungibile. Togli Paulina García e mettici Julianne Moore, aggiungici John Turturro e Michael Cera per implementare il cast e l'appeal, trasla il film dall'America del Sud all'America del Nord e da Gloria ottieni Gloria Bell.
Il personaggio alla base è lo stesso. Identico.
Una donna di mezza età, divorziata con due figli, sull'orlo di una crisi di nervi ma ancora pronta a rinnovarsi e ritornare in carreggiata. Tracanna cocktail, la sigaretta sempre accesa è sua fedele compagna, non rifiuta il sesso occasionale, ma sotto sotto spera ancora in un amore vero che cerca sulla pista da ballo o seduta al banco di un bar.
L'unica differenza è che la Gloria cilena fuma con la sinistra e beve con la destra mentre la Gloria statunitense fuma con la destra e beve con la sinistra.
A fare la differenza in questo remake, però, è il perfezionamento della messa in scena.
Oltre a un lavoro di riscrittura di alcuni dialoghi per renderli equivalenti nelle diverse aree geografiche di appartenenza – il discorso a tavola sulla situazione politica cilena si trasforma così in un discorso sulla libertà di vendita d'armi da fuoco in suolo statunitense – c'è spazio per il rifinire alcuni simbolismi, su tutti il più evidente quello appartenente al mondo animale. Il gatto, che continua a intrufolarsi nell'appartamento di Gloria, incarnazione della vita che filtra volente o nolente è un simbolo tronco; "Chiudo tutto e lui riesce comunque a rientrare." afferma Gloria, "Forse vuole dirti qualcosa." le fanno notare. Quando Gloria nell'originale decide di accoglierlo e non più di respingerlo, il gatto viene recuperato dal suo legittimo proprietario. Ma l'uscita di scena del gatto lascia posto, nel finale, all'apparizione di un bellissimo pavone bianco che ha la medesima funzione. Tutto questo nel remake viene snellito mantenendo intatta la linea fino all'accettazione del gatto ma troncando la sua sottrazione e la successiva aggiunta del pavone, due azioni di segno contrario che appesantivano inutilmente il film lasciando inalterato il significato.
Ma il perfezionamento avviene soprattutto sul punto di vista formale.
La fotografia, grezza e ruvida quella di Benjamín Echazarreta nell'originale, passa qui nelle mani di Natasha Braier che la ingentilisce, impreziosendola spesso con l'uso di neon in scena, elemento già presente nelle scene di ballo nella versione del 2013 ma che qui viene sfruttato in maniera più variegata e incisiva. Molte scelte rimangono giustamente invariate - come l'inquilino del piano di sopra lasciato costantemente nel fuoricampo o la lunga inquadratura dedicata al primo piano di Gloria che si commuove ascoltando la lettura della poesia a lei dedicata - ma molte vengono migliorate. Ne è un esempio la cena di compleanno del figlio di Gloria, durante il quale la protagonista presenta il suo nuovo compagno a tutta la famiglia, compreso l'ex-marito e la sua attuale compagna. La complicità dell'alcol fa degenerare la situazione in una nostalgica rievocazione dei bei tempi della famiglia ormai perduta che mette profondamente a disagio Arnold, il nuovo compagno di Gloria, fino a portarlo all'abbandono della cena. Per rendere il senso del quadro familiare momentaneamente ricreato Lelio ricorre a due semplicissime variazioni nell'inquadratura: una progressiva sfocatura di Arnold che cerca un non ricambiato sguardo di complicità con Gloria fino a farlo dissolvere nella profondità di campo, e una piccola e lenta panoramica che si concentra sulla famiglia riformata incorniciandola e lasciando progressivamente fuori dal campo Arnold. Nell'inquadratura non c'è spazio nemmeno per la nuova compagna dell'ex-marito di Gloria, che nonostante sia introdotta da più tempo non è integrata nel nucleo e viene pertanto tenuta fuori dal margine dell'inquadratura e tutto quello che può fare in quel contesto è intromettersi fugacemente nel quadro invadendo il campo con la mano solo per qualche istante, a sottolineare che per i nuovi arrivati, estranei, non c'è spazio per entrare né nell'inquadratura né nel nòcciolo della famiglia. La porzione di spazio delimitata diventa così cornice per la porzione di condivisione degli affetti e dei ricordi.
Ed è proprio la sequenza conclusiva a riassumere perfettamente tutto questo.
Già dalla scelta musicale, la Gloria di Umberto Tozzi nella versione spagnola cantata dallo stesso Tozzi con traduzione più o meno letterale dell'originale italiana, lascia qui spazio alla versione di Laura Branigan che con un testo alternativo trova una maggior aderenza al contenuto del film.
"Gloria, you're always on the run now.
Running after somebody, you gotta get him somehow.
I think you've got to slow down, before you start to blow it.
I think you're headed for a breakdown, so be careful not to show it."
sono parole in cui la protagonista si rispecchia maggiormente nel cantare se stessa e che danno più margine d'immedesimazione e coesione recitativa tra personaggio e attore.
Allo stesso modo ciò che nel film del 2013 veniva esposto con tre inquadrature – Gloria che ascolta e canta seduta, il controcampo sull'amica che la invita a ballare, e un'ultima, più lunga, in cui si lascia andare alla danza - viene qui risolto con un unico pianosequenza, come già si concludeva con un pianosequenza che fungeva da coda Una donna fantastica, e che racchiude in maniera più fluida e compatta l'essenza del film, valorizzando in tempo reale l'abilità con cui Julianne Moore anima progressivamente la vitalità di Gloria.
Certo, i cinque anni trascorsi tra le due versioni non sono i 22 trascorsi tra le due versioni de L'uomo che sapeva troppo e Sebastián Lelio non è Alfred Hitchcock ma "diciamo che la prima versione è stata fatta da un dilettante di talento, mentre la seconda da un professionista".
