23 giugno 1993. Manassas, Virginia. Alle cinque del mattino la ventitreenne Lorena Bobbitt taglia il pene del marito John Wayne Bobbitt con un coltello da cucina. La miniserie è la ricostruzione del caso.
Il caso Bobbitt ha segnato profondamente gli Stati Uniti, il sogno americano e la sua rappresentazione, e torna di stringente attualità oggi al tempo del nuovo femminismo. Joshua Rofé lo inscena in una miniserie documentaria di quattro episodi, prodotta tra gli altri da Jordan Peele e rilasciata su Amazon Prime Video. Alternando materiale di repertorio, riproduzione finzionale e interviste frontali ai protagonisti oggi (Lorena e John su tutti), il racconto si apre con la ricostruzione dell’evento che investe l’istituzione della famiglia e incrina il suo sogno: Lorena, immigrata dall’Ecuador a sedici anni, dopo aver incontrato e sposato John, ex militare e concentrato del perfetto american boy, in breve tempo si ritrova in una condizione talmente compromessa da compiere il gesto estremo. Il loro falso idillio viene reciso da un colpo di coltello: la prima puntata, The Night Of, chiama a consesso gli intervenuti di quella notte e ne rievoca le sensazioni, dallo sconcerto del chirurgo al lavoro degli agenti in cerca della “parte mancante”.
Da quel momento, rilevato il fatto e avvenuto l’arresto (A Woman in Trouble), inizia a montare l’attenzione mediatica che ne costruisce la portata: la natura stessa dell’evirazione, gesto simbolico e leggendario (come nel mito greco di Urano), apre una serie di implicazioni a catena potenzialmente infinite, che vanno tutte a toccare nervi scoperti della nazione e per estensione del mondo occidentale. La donna, dopo una lunga storia di abusi, si ribella e colpisce proprio il dato della virilità: è l’angelo vendicatore che mette in dubbio la storica superiorità dell’uomo, il maschilismo intrinseco e la violenza accettata in silenzio. L’anello debole diventa forte: ogni maschio, da adesso, può essere evirato. Lorena è pazza? La ragazza denuncia i continui stupri del marito, ma all’epoca non esiste il reato di violenza carnale sotto il tetto coniugale. È così che la miniserie diviene docuthriller processuale: alla sbarra, nel celebre procedimento, per evitare una lunga condanna Lorena è costretta a dimostrare il contesto di violenza e la sua incapacità di intendere e volere al momento del gesto, in preda a un impulso irresistibile (terzo episodio: An Irresistable Impulse). Intorno a lei intanto il paese si spacca e polarizza: nell’era del tardo analogico, televisioni e giornali coprono ossessivamente il caso dalle prime battute, fanno interviste, sparano titoli, sdoganano l’inedito termine penis, gonfiano il processo fino al parossismo («Tutti speravano di entrare in giuria»). Finché – improvvisamente – l’opinione pubblica viene distratta da altri voyeurismi: sintomatico il caso Tonya Harding che porta il Newsweek a cambiare copertina, da Bobbitt’s Obsession a Thin Ice.
La ricostruzione processuale, guardando a Sidney Lumet, si dispiega attraverso scontri sugli indizi, battaglie di perizie e colpi di scena che inchiodano senza sosta: per esempio l’esame delle mutandine della Bobbitt che, in apparenza strappate, si rivelano tagliate ad arte con un paio di forbici allungando il sospetto della messinscena. Ma, nella perenne altalena fino al verdetto, la contrapposizione è soprattutto ideologica: sì o no, pro o contro, bianco o nero, la figura di Lorena viene sostenuta o detestata in un meccanismo simile a quello contemporaneo (le interviste per strada come social network ante litteram), che disturba perché propone il nodo della battaglia dei sessi, delle donne vittime di abusi quando esso non era neanche in teoria, nemmeno politicamente, vedi il buco legislativo.
Joshua Rofé esegue l’operazione con un’adeguata gestione di tutti i momenti essenziali, come nel montaggio alternato tra le arringhe di accusa e difesa, discorsi allo specchio che presentano due versioni opposte dello stesso fatto. Tra filmati d’epoca e invenzioni grafiche, schemi e disegni a colmare il vuoto di ciò che non si può mostrare, ecco dunque l’affresco di un grande “caso sociale” impaginato nel registro del thriller, e proprio nell’esercizio di un genere politico si può spiegare il ruolo produttivo del regista di Scappa e Noi. Solo nell’ultima parte (The Cycle of Abuse), infine, la serie si fa più riflessiva e va a sondare gli anni dopo il caso: dai ripetuti guai giudiziari di John al tentato omicidio della nuova compagna, dalla parabola di Lorena all’impegno contro la violenza sulle donne, di cui anche il racconto si fa portatore. A metafora dell’incoscienza degli stessi colpevoli resta, in ultima istanza, il messaggio paradossale inviato oggi da John a Lorena: le chiede, dopo tanti anni, di tornare insieme.