Biografico, Drammatico, Recensione, Storico

MARIA REGINA DI SCOZIA

Titolo OriginaleMary Queen of Scots
NazioneGran Bretagna, U.S.A.
Anno Produzione2018
Durata124'
Sceneggiatura
Basatosulla biografia Queen of Scots: The True Life of Mary Stuart di John Guy
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Scozia, 1561. Maria Stuarda, regina di Francia a 16 anni dopo aver sposato Francesco II, rimasta vedova a 18 anni, decide di tornare nella natia Scozia per riprendere la corona che le spetta di diritto. Con il suo ritorno Maria rischia di contendere anche il ruolo di regina d’Inghilterra ad Elisabetta I, che i legittimisti disconoscono come erede di Enrico VIII. Maria ed Elisabetta sono cugine ma praticano religioni diverse, la prima cattolica, la seconda protestante. E tanto la corte d’Inghilterra quanto quella di Scozia temono che la Stuarda coltivi un legame con la Roma papalina, per tramare in segreto contro il regno anglosassone.

RECENSIONI

Bow to no one”. Recita così la tagline del manifesto americano che vede le due attrici principali fianco a fianco, l'antagonista leggermente più arretrata rispetto alla protagonista eponima, ma entrambe con lo stesso fiero sguardo di sfida rivolto non tra di loro, come prevedibile, ma verso il pubblico. È indubbio, infatti, che l’ennesima trasposizione della controversa vicenda di Maria Stuarda, regina di Scozia dal 1542 al 1567, già regina consorte di Francia dal 1559 al 1560, risenta dello spirito del Time’s Up e dei conflitti di genere contemporanei, rileggendo la Storia al vaglio di una sensibilità apertamente femminista: la storica rivalità tra le due regine è infatti narrata come il tentativo fallito di una sorellanza in una società patriarcale per la quale la donna al potere può essere solo un simulacro e non una donna effettiva, una mera immagine e non un corpo reale. Tragicamente costretta tra le affermazioni chiave “I will be the woman she is not” di Maria e “I am more man than woman now di Elisabetta, si gioca allora una partita senza esclusioni colpi che vede la possibile complicità femminile vanificata e rovesciata di segno in un asfissiante viluppo di coercizioni, manipolazioni e trappole ordito da un infido e spietato consesso maschile.


Un lungo montaggio alternato innerva la struttura del film diretto da Josie Rourke, rinomata regista teatrale al suo debutto cinematografico, prima donna alla guida del prestigioso Donmar Warehouse di Londra, e scritto dal Beau Willimon di House of Cards e Le idi di marzo, dunque a suo agio con intrighi politici e machiavelliche scalate al potere: su due fronti opposti sfilano e si avvicendano Maria ed Elisabetta - e le loro differenti modalità di relazionarsi al branco di uomini che le circondano e assediano - ma anche Scozia e Inghilterra, papisti e anglicani e soprattutto uomini e donne. Fino ad arrivare all’occasione mancata dello scioglimento delle contraddizioni in scena: l’incontro tra le due sovrane, evento storicamente non attestato, avviene in un capanno isolato, quasi un luogo fuori dalla Storia appunto, tra drappi e veli che letteralmente cadono di fronte alla presa di coscienza della brutale realtà dei fatti e dell’impraticabilità di una politica femminista, sostituita invece da una competizione istigata da un mondo di soli uomini. Maria, viso di porcellana ma carattere ferreo, appassionata e caparbia, ragazza diventata donna e madre troppo presto, politicamente avventata, cattolica libertaria, sessualmente disinibita, andrà incontro all’infrangersi rovinoso di tutte le illusioni e sogni di gloria. Elisabetta, volto sfigurato dal vaiolo, avveduta ma nevrotica, decisa a non sottomettersi a nessun uomo nel vincolo-trappola del matrimonio e a rinunciare di conseguenza anche a un’eventuale maternità, occulterà la propria femminilità sacrificandosi a un’asessualità di Stato. L’unico atto erotico gioioso di tutta la vicenda è, non a caso, un cunnilingus, il coito essendo un brutale affare istituzionale, pratica violenta finalizzata alla marcatura del territorio e alla perpetuazione della dinastia regnante.


Il film, malgrado il taglio inedito dato - sulla carta - a una storia raccontata tante volte e le libertà prese rispetto alla pedanteria del fact checking, resta però tradizionale nella costruzione, drammaticamente troppo ancorato a una struttura polarizzata e dimostrativa che il montaggio sottolinea in modo vistoso. La regia di Josie Rourke, più che ad articolare uno sguardo personale, appare attenta a valorizzare le interpretazioni delle due attrici protagoniste e l'apporto dei production values a disposizione, come la fotografia di penombre e luci naturali di John Mathieson, già fidato collaboratore di Ridley Scott, che dipinge un mondo di esterni e interni ripartito tra la fosca rocciosità scozzese e le ambigue dorature lignee della corte inglese. Accademismo, sì, ma di buona fattura.


Dopo una spudorata quanto discutibile ellissi temporale, il percorso che porta al trono o al patibolo vede ancora una volta al centro della scena il corpo femminile e l’abito che ne dissimula o svela l’identità. Elisabetta, Virgin Queen, maschera grottesca del potere, trucco pesante da clown triste, si erge come figura simbolica, tableau vivant al di là del maschile e femminile. Maria, a un passo dalla morte, come ultimo gesto di provocazione sfodera sotto una cappa luttuosa uno sfacciato vestito rosso sangue con generoso décolleté, autoproclamando il proprio martirio. A continuare la Storia sarà comunque un uomo: suo figlio.