Drammatico, Sala

OGNUNO HA DIRITTO AD AMARE

Titolo OriginaleTouch Me Not
NazioneRomania
Anno Produzione2018
Durata123'
Sceneggiatura
Fotografia
Scenografia
Musiche

TRAMA

Laura non riesce a farsi toccare. Mentre la regista la intervista, tenta di superare il blocco ingaggiando un travestito e un terapeuta BDSM. Segue anche di nascosto Tomas che, in ospedale, si prende cura di Christian, affetto da atrofia muscolare.

RECENSIONI

Intellectual chic-shock, diversa gradazione del finto documentario di Gianfranco Rosi, altro vincitore dell’Orso d’Oro a Berlino (Fuocoammare). Film-terapia dove vero, falso, buone intenzioni ed egotico film-saggio sfumano le estremità fino a esasperare la manipolazione dello sguardo in modo inconsapevole, perché questa corrente che ibrida documento e finzione raramente si pone il problema e(ste)tico. Non sarebbe necessario farlo, se le immagini sapessero simulare le fonti e dissimulare i confini: Adina Pintilie, invece, monta e smonta il medium (la camera ad inizio e fine film), ed entra in campo con un’espressione contrita e fasulla che fa il verso al quesito godardiano sul film stesso. La troupe appare in modalità ‘random’ e si è continuamente distratti dalla (non) sospensione di incredulità, anziché cogliere ciò che viene documentato/comunicato in nome di Michael Bader (psicologo “alternativo”). Non facilita il credito una protagonista che sceglie un percorso di “guarigione” in chiave parossistica (il travestito, l’esperto “conscious kink”) ed una trama dove, “casualmente”, irrompe ovunque l’ingrediente shock, fino all’orgia sadomaso. Non documentario, non lavoro di finzione sul documentario ma una terza via, che comprende le precedenti e spinge l’allegoria deformante. Potrebbe funzionare nel nome di Ulrich Seidl, ma Pintilie si prende troppo sul serio, sprofonda nel ridicolo involontario, imbarazzante nell’inconsapevole e continua molestia allo spettatore che non sa come reagire di fronte al voyeurismo pseudo-poetico e allo sguardo clinico/olistico. Un invito all’accettazione che violenta lo sguardo e viola i guardati, ridotti ad esibizionisti per mancanza di direzione che sopravvaluta la propria arte: le varie figure che hanno differenti modi di vivere il corpo, la sessualità, le emozioni e il giudizio degli altri indicano la via della banalità diagnostica (blocco=violenza=padre) e dell’aria autorale che uccide il cinema.